martedì 31 gennaio 2023

Info volontari infermieri (seconda parte)

In questa seconda ed ultima parte desidero parlarvi delle grandi qualità degli infermieri kenyoti. Infatti nel precedente articolo, abbiamo sottolineato soprattutto i loro limiti, ma è chiaro che moltissimi sono i loro pregi.
Prima di tutto essi sono non solo infermieri ma anche ostetrici: sono bravissimi nella gestione del travaglio e del parto, oltre che della gravidanza con tutte le sue complicazioni. Un infermiere africano è preparato nella stima dell’età gestazionale del feto, nella determinazione del battito cardiaco fetale, nel follow up della donna con le doglie, nel parto sia cefalico che podalico, nella pratica della episotomia e della episiorrafia. Seguono la induzione con misoprostolo senza problemi.
Sono bravissimi pure con il paziente pediatrico: sono effettivamente incredibili nel reperimento degli accessi venosi in bimbi a volte appena nati.
Sono in grado di suturare molti tagli e ferite, quando non sono coinvolti tendini od ossa: pure tale aspetto alleggerisce molto il lavoro del medico.
Normalmente l’infermiere di reparto è autonomo nella gestione del degente operato, per cui segue i protocolli dell’ospedale.
Queste brevi indicazioni possono aiutarci a capire che tra infermieri italiani e kenyoti è possibile e doveroso un processo di scambio e di osmosi da cui tutti possono trarre giovamento per il bene dei malati da noi serviti.
Nessuno è migliore o superiore. Si tratta di profili diversi che comunque si possono integrare ed arricchire vicendevolmente.

Fr. Beppe Gaido


lunedì 30 gennaio 2023

Free gynecological camp in Gativa Clinic

Ieri abbiamo visto oltre 300 pazienti e fatto screening per tumore della cervice e della mammella.
Abbiamo offerto visite ginecologiche ed ecografie gratuite. Eravamo sfiniti ma contenti.
Grazie a Filippo e Lucia, che hanno lavorato tantissimo.
Ecco il grazie di Clifford, responsabile della clinica:
"Hi, Dr Beppe
I would like to take this opportunity to sincerely thank you for your continuous commitment towards volunteering here at Gativa with a lot of devotion in serving patients, the Chaaria community and the entire part of this world. Am grateful always. Thank you for doing this against all odds, fighting many battles some including your presence over here; you still show up anyway.
As of today we are immensely grateful to you and the volunteers gynaecologist. Pass our utmost thank you message to them. Am touched and grateful beyond words. May God bless you always and grant more strength to do what you do best: serving Gods people".

Fr. Beppe Gaido






domenica 29 gennaio 2023

Info per infermieri italiani (prima parte)

Prima di tutto grazie per essere venuti ad aiutarci a Matiri.
La ragione di questo scritto è di darvi qualche indicazione che possa aiutarvi a comprendere meglio gli infermieri kenyoti con cui vi troverete ad operare.
Prima di tutto tenete conto che in questo momento la maggior parte dei vostri colleghi africani è estremamente giovane: quasi tutti hanno appena terminato la scuola ed alcuni di loro addirittura sono ancora studenti. E’ quindi normale che siano molto inesperti!
Altro elemento che necessariamente si associa alla loro giovane età è il fatto che essi tendono a non voler rimanere a Matiri per lungo tempo: sovente essi desiderano ancora specializzarsi, oppure cercano ospedali meno rurali, meno duri e con miglior stipendio. Ciò comporta il fatto che il turn over è altissimo, e la vita media di un infermiere nel nostro ospedale è talvolta inferiore ad un anno.
Questo crea disagi non da poco anche a noi, in quanto, quando hanno imparato delle cose ed hanno iniziato ad assumersi responsabilità’, poi ci lasciano portandosi con sé il patrimonio di esperienze che nuovamente dobbiamo cercato di trasmettere ai nuovi venuti.
Chiediamo quindi agli infermieri italiani tanta pazienza ed anche un occhio di comprensione nei confronti delle nostre evidenti carenze nel campo del nursing.
Ci sono però alcuni infermieri “storici” che con il loro patrimonio di esperienza possono essere un vero punto di riferimento anche per i volontari italiani, sia nel reparto di medicina generale, sia in quello della pediatria-maternità.
Il punto centrale è il fatto che gli infermieri italiani che vengono a Matiri per due o tre settimane si devono prima di tutto mettere in un atteggiamento di umiltà e di collaborazione. Noi europei ci rechiamo in Kenya sostanzialmente per aiutare e per collaborare, sforzandoci innanzitutto di essere accolti e di farci accettare. Solo quando siamo riusciti a farci conoscere ed amare, poi potremo tentare di insegnare delle tecniche con la speranza che gli infermieri kenyoti accettino ed apprezzino. Chi si pone dal primo giorno in atteggiamenti ipercritici, con il pensiero che tante cose vanno cambiate nel nostro modo di lavorare, si espone al rischio di essere rifiutato dal nostro staff locale che si sentirà poco apprezzato, erigendo quindi dei muri di divisione e di isolamento attorno al nuovo arrivato.
Il mio consiglio è che prima il volontario si ponga semplicemente al loro fianco; cerchi di diventare loro amico e poi, quando questo rapporto si cementa pian piano, saranno loro a chiedere: “ma voi questa cosa come la fate in Italia?”.
Il volontario deve poi considerare le differenze di formazione tra infermieri italiani e kenyoti: essi studiano tre anni e mezzo, più o meno come in Italia. Il loro curriculum è però molto diverso.
Ammetto che probabilmente essi sono più carenti degli italiani riguardo alla formazione nursing: il prendersi cura del benessere totale del paziente, la sua igiene personale, la cura e la prevenzione dei decubiti sono sicuramente un po’ carenti nello staff di Matiri, e quindi questa è un’area in cui i volontari possono certamente avere un impatto che porti ad un miglioramento. Ma ripeto che ciò non si realizzerà con un atteggiamento di superiorità e di critica nei confronti del personale africano. Il miglioramento potrà pian piano avverarsi con tempi forse biblici o evoluzionistici, ma si compirà in modo sostenibile e continuativo solo se i nostri infermieri saranno stati convinti pian piano da persone coerenti, che parlano poco ed invece insegnano molto con l’umile e costante esempio della vita. Fare critiche aperte o lezioni estemporanee sul modo di lavorare quasi mai ottiene un effetto positivo, anzi puo’ essere deleterio, in quanto certamente essi non daranno alcun ascolto a docenti mai conosciuti prima, che passano da Matiri come meteore, che si pongono su un piedistallo di superiorità e magari danno lezioni in italiano od in un inglese a dir poco stentato. Per questo il mio consiglio agli infermieri volontari è il seguente: lavorate con loro, diventate loro amico ed aspettate che siano loro a farvi domande sul vostro modo di lavorare.
Certamente anche la sterilità e l’igiene sono un punto di carenza dei nostri infermieri. Pure da questo punto di vista gli infermieri italiani possono apportare grandi miglioramenti, ma lo devono fare inbmodo prudente, proprio come ho descritto sopra.
Vedrete mettere dei cateteri con tecniche non sterili. Se lo dovete fare voi, usate tutta la sterilità che è propria del caso, il vostro comportamento creerà in loro delle domande, e, se il vostro modo di lavorare è a loro piaciuto, poi vi imiteranno. Lo stesso vale per le garze sterile, le medicazioni e via dicendo.
Oggi mi fermo qui. Continueremo il discorso più avanti sui tantissimi pregi e sulle eccezionali qualità che i nostri infermieri africani hanno, e su cui credo anche loro abbiano qualcosa da offrire agli italiani. Si tratta infatti a mio parere di uno scambio interculturale, e non di un movimento a senso unico.

Fr. Beppe Gaido


venerdì 27 gennaio 2023

“MAXIMUM JUS, MAXIMA INIURIA”….

... (la massima giustizia puo’ diventare la massima ingiustizia)… cosi’ si esprimevano i Romani, mentre Gesu’ si limitava a dire che “il sabato e’ fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”.

Eppure spesso ancora oggi preferiamo il sabato, e non ci rendiamo neppure conto che a volte l’osservanza del sabato puo’ portare adingiustizie ed a sofferenze.
L’attenzione all’uomo, alla sua storia personale, ai suoi bisogni del momento, sono la frontiera su cui anche oggi il Vangelo ci sfida.
Gesu’ sapeva benissimo che era sabato quando ha detto al paralitico: “prendi il tuo lettuccio e cammina”; avrebbe potuto attendere ancora 24 ore, e poi avrebbe potuto fare il miracolo il giorno seguente... ma in varie occasioni non l’ha fatto; su questo punto Cristo e’ stato un “trasgressore” recidivo della legge di Mose’. E certamente lo e’ stato ad occhi aperti, per dirci di stare attenti alle leggi, che sono si’ necessarie, ma possono portare a grossi peccati di omissione, o a scelte molto discutibili ed in certi casi pericolose. Anche i sommi sacerdoti che stavano preparando la condanna a morte di Gesu’ dicevano: “noi abbiamo una legge, e secondo questa legge deve morire...”.
Le esemplificazioni sarebbero innumerevoli: per esempio e’ sicuramente giusto che la gente paghi quello che puo’ pagare (altrimenti gli ospedali del Terzo Mondo affogherebbero nei debiti e non sarebbero mai sostenibili)... ma se siamo troppo stretti su questa regola, rischiamo per esempio di lasciar morire di malaria dei bambini, mentre noi discutiamo ed alterchiamo con i genitori su pochi scellini.
E’ chiaro inoltre che una persona, per essere dimessa, deve aver coperto le spese del ricovero (se non ha la copertura mutualistica); ma, se si e’ troppo rigidi su questa legge, si rischia di trasformare il reparto di una lungodegenza o in un carcere... arrivando all’assurdo di non avere piu’ posti letto perche’ sono quasi tutti occupati da malati guariti ed “insolventi”.
So di malati che sono morti in attesa di trovare i soldi per l’ospedale. La legge era giusta (se i malati non pagano, l’ospedale chiude), ma e’ stata applicata in modo acritico, senza considerare la gravita’ del caso specifico.
Il giusto sta sempre nel mezzo... gia’ lo sapevano i grandi filosofi greci.
E’ vero comunque che e’ molto difficile trovarlo questo salomonico equilibrio; e’ inoltre fuori dubbio che e’ molto ansiogeno essere elastici, mentre la rigidita’ dell’applicazione legalista da’ sicurezza... ma credo che dobbiamo provarci.
In chirurgia diciamo che il meglio e’ nemico del bene, ma mi pare che questa legge possa essere applicata a tanti altri aspetti della vita.
Lo so che ci vogliono le leggi, e che ci vogliono soldi per portare avanti un ospedale e pagare gli stipendi.
Lo so anche che senza leggi potrebbe esserci confusione ed anarchia.
Ma il malato deve essere il centro della nostra vita; mai dobbiamo negare un servizio necessario o un intervento salvavita, solo perchè mancano i soldi!
La mia preghiera è quella di essere capace di porre il bene del singolo all’apice delle motivazioni che mi portano ad una scelta in una direzione o nell’altra. Ritengo che le leggi vadano rispettate, ma penso che le eccezioni, quando sono abbracciate ad occhi aperti e con lo scopo di rispondere ad un reale bisogno di una persona o di una istituzione, non siano mai una deroga alla confusione ed all’illegalità, ma siano mettere “l’uomo prima del sabato”.

Fr. Beppe Gaido


Giornata intensa

Ieri è iniziata prestissimo. Come al solito ero io il docente per la lezione. Oggi abbiamo parlato di appendicite. L'uditorio era attentissimo, e credo di aver dato il massimo per trasmettere un po' di conoscenza.
Poi la giornata è continuata in modo piuttosto caotico, con tantissimi pazienti e tanti interventi.
Soprattutto i ginecologi sono stati presi d'assalto: la lista delle pazienti ambulatoriali non finiva piu'; quella per i PAP test e per lo screening mammario era altrettanto lunga.
Sono felice per Lucia e Filippo che hanno la sensazione reale ogni giorno di quanto siano importanti per la nostra popolazione.

Fr. Beppe Gaido




giovedì 26 gennaio 2023

Lezioni di vita in Africa

Certo, lavorare in Africa insegna molte cose, soprattutto ci rende consapevoli dei nostri limiti, di quello che non sappiamo, e di quello che avremmo potuto far meglio. Il rullo compressore della quotidiana fatica spesso smaschera elementi bui del nostro carattere: a volte si corre tutto il giorno, cercando di fare del proprio meglio, e poi verso sera, quando le energie sono ormai “in riserva”, si perde il controllo, si diventa nervosi e ci si scarica contro un paziente che ha il solo torto di essere capitato sotto le nostre grinfie nel momento meno opportuno, o magari si ha un malinteso che si sarebbe potuto evitare con un volontario. La stanchezza fa brutti scherzi.
Anche questi sono comunque momenti utili: all’inizio ci si tormenta nel senso di colpa, si vorrebbe richiamare indietro il malcapitato che invece è già tornato a casa “con la coda tra le gambe”; si cerca di chiedere scusa al volontario.
Si corre comunque il rischio dello scoraggiamento, pensando di aver rovinato in un momento quanto costruito durante una faticosa giornata di servizio e di donazione. Poi però la pace del cuore ritorna, e si accetta il fatto che non siamo perfetti ed abbiamo bisogno ogni giorno della misericordia di Dio.
Dio sceglie gente imperfetta e limitata per portare il suo messaggio di liberazione; ci vuole bene e ci accetta così come siamo, e desidera da noi solo lo sforzo per fare del nostro meglio. Poi tutto il resto lo porta a compimento Lui. Noi siamo degli strumenti molto imperfetti della sua Provvidenza, e la presa di coscienza di questa nostra condizione ci aiuta ad andare avanti, resistendo sia alla tentazione dello scoraggiamento, sia a quella di sentirci superuomini capaci di risolvere tutti i problemi.

Fr. Beppe Gaido


mercoledì 25 gennaio 2023

Salutiamo chi parte

Grazie a Giuseppe Diana, chirurgo, Nietta Fenu, internista, Elisa Beltrami, infermiera di sala, per il servizio svolto a Matiri.
Grazie per il lavoro fatto insieme, per i momenti di fraternità e per l'aiuto che insieme siamo riusciti a dare ai malati ed ai bisognosi.
Buon ritorno in Italia.

Fr. Beppe Gaido








martedì 24 gennaio 2023

Una stella in più in cielo

Mi chiamo Doreen. Sono stata a lungo ricoverata per una malattia di cuore.
Nonostante le terapie e gli sforzi di tutti in ospedale, io non sono mai migliorata veramente.
C’erano sì dei giorni in cui mi sentivo più in forma, ma in realtà le forze non sono mai ritornate, ed io sono rimasta sempre gonfia come un pallone.
Camminare era diventato un problema perchè avevo il fiatone dopo due o tre passi.
Da un po' di giorni inoltre avevo notato un’altra cosa strana: se dormivo sul fianco destro, mi si gonfiava la parte destra della faccia, e se mi giravo dall’altra parte, dopo poche ore si spostava anche l’edema.
Da ieri mattina poi non sono più riuscita a coricarmi: da sdraiata non respiravo proprio.
A partire dalle due del pomeriggio non ricordo più nulla: solo ora, guardando la moviola del tempo qui dal Paradiso, mi rendo conto che ero fuori di testa.
Non capivo quando mi parlavano, mi alzavo e strappavo la flebo, dicevo frasi senza significato alcuno. So che Beppe ha provato a cambiare tutte le medicine, mi ha chiamato forte, ha provato a farmi ritornare allo stato di coscienza. Immaginate che non l’ho neanche visto.
Poi è venuta la Suora che ha voluto battezzarmi anche se ora, ripensandoci da angioletto, mi viene da ridere, perchè Dio Padre mi avrebbe accolta lo stesso, anche senza quelle poche gocce d’acqua sulla mia fronte madida di sudore freddo. Ma so che quelle preghiere della Sorella mi hanno comunque aiutata nella mia scalata al cielo che è sempre impegnativa.
Alla sera, siccome non potevo sdraiarmi, le volontarie, con una delicatezza veramente speciale, mi hanno voluto portare in cameretta singola e mi hanno messo su un lettino cardiologico (quelli con lo schienale rialzabile): anche così però io non ce la facevo a sdraiarmi. Sulla moviola ora posso vedere che sono stata agitata tutta la notte: è sempre difficile lasciare questa vita terrena, anche per un bambino che dalla sua esistenza non ha avuto che croce e dolore; è l’istinto di sopravvivenza, proprio non vuoi saperne di morire, anche se lo sai che il Paradiso è molto meglio per te. Alla fine però ero troppo stanca, e quando sorella morte mi ha chiamata verso le 6 di stamane, io non ho opposto resistenza ed ho accettato di camminare insieme a lei verso il sole che non conosce tramonto.
Adesso sono nella Luce.
Se conosceste quanto è bello il posto in cui mi trovo, non sareste tristi, “se mi ami non piangere” dice una poesia che a me è piaciuta tanto, quando Beppe me l’ha letta. D’ora in avanti, quando guardate le stelle in cielo, pensate che una di loro si chiama Doreen: vi guarda, prega per voi, vi ringrazia e non si dimenticherà mai di quello che per lei avete fatto durante la sua breve esperienza terrena.

Un angioletto passato da Matiri


domenica 22 gennaio 2023

Compleanno

Grazie ai volontari presenti a Matiri. Grazie a coloro che sono venuti da Chaaria. Oggi è stato un compleanno speciale.
Sono commosso e felice. Grazie per la festa che è stata organizzata in mio onore.
Grazie del bene che molti mi vogliono.

Fr. Beppe Gaido






Momenti difficili

Offriamo a tutti un servizio direi abbastanza buono; eseguiamo in una sola giornata degli esami che anche in Italia vanno prenotati in precedenza con liste di attesa di vari mesi; operiamo sei giorni alla
settimana; l’attesa prima dell’intervento è in genere di 12-24 ore. Eppure quel che sentiamo sono sempre lamentazioni (siamo lenti, si aspetta per troppe ore per essere visitati, i tempi per aprire una
cartella e ricoverare sono eccessivi, e così via).
Nessuno poi si rende conto che, se tardiamo a prenderci cura di lui, è perchè ci sono altri problemi o emergenze da qualche altra parte dell’ospedale.
Oggi per esempio è sabato; il Dr. Winters è stato qui ed abbiamo fatto 4 grossi interventi, oltre ad un raschiamento uterino urgente. Ho fatto ambulatorio, con il sudore sulla fronte, tra un intervento
chirurgico e l’altro: normalmente, dopo un’operazione si sentirebbe il bisogno di rilassarsi un po’, di sorseggiare un buon caffè espresso e di attendere di essere chiamati in sala nuovamente. Invece noi, dopo l’operazione apriamo la porta e iniziamo ecografie, astroscopie, ecc.
Quando però un cliente, invece di dirmi i suoi problemi di salute, senza nemmeno salutare prende ad apostrofarmi: “ma lo sai che ho aspettato per più di 5 ore e che vengo da molto lontano...”, allora veramente devo fare uno sforzo per mantenermi calmo e per resistere alla tentazione di rispondergli in modo sgarbato.
Quando ci sono momenti del genere, sto zitto; invito il malato a sedersi un momento; vado a fare due passi, mi sbollisco e poi torno per continuare la visita, senza fare alcun riferimento a quanto poco
prima mi ha irritato.
So che molti lo fanno per ignoranza; sono cosciente del fatto che non si rendono conto del nostro carico di lavoro (per esempio ora non ho più una pausa pranzo); ed allo stesso tempo comprendo che una mia parola detta male ad un malato possa diventare un boomerang, perchè poi lui andrà a spargere la “buona novella” di quanto siamo scortesi.
Per questo mi sforzo di perdonarli sempre, e di considerare ogni paziente come un dono di Dio, perchè, se continuano a venire nonostante i nostri limiti ed i tempi di attesa a volte snervanti, è perchè sono ancora contenti di noi. Ricordo quando l’ospedale di Matiri era assolutamente vuoto al mio arrivo. Ricodo i tempi in cui c’erano due pazienti in tutto l’ospedale.
L’ospedale di Matiri ha tanti problemi, innumerevoli contraddizioni e cose che si potrebbero fare meglio, ma quando vedo i nostri reparti quasi pieni (oggi soprattutto dalle donne), il mio cuore gioisce perchè indirettamente intuisco che Dio è ancora contento di noi, nonostante tutti i nostri limiti.

Fr. Beppe Gaido


sabato 21 gennaio 2023

Ernia congenita strozzata

Lewis ha tre anni di età.
Ci è stato presentato dai genitori per una massa inguino-scrotale sinistra. La massa è dura e dolente alla palpazione, ed è assolutamente irriducibile. L’eco dimostra che parte della massa è liquida, ma la diagnosi sembra comunque quella di un’ernia inguinale incarcerata.
La mamma dice che in passato il gonfiore talvolta appariva ma poi rientrava in addome: altro elemento che suggerisce la diagnosi di ernia. Ci informa anche che stavolta la massa è rimasta fuori per gli ultimi tre giorni.
Entriamo quindi in sala con procedura d’urgenza.
Decido per un approccio chirurgico inguinale sinistro: ho ancora la speranza di riuscire ad isolare il sacco, di aprirlo e di trovare anse intestinali vitali. Lo scollamento dei piani si dimostra comunque molto difficile. Il sacco erniario è diventato una cotenna molto spessa ed estremamente dura. Mentre continuo a “spelare” il sacco per via smussa, ad un certo punto esso si apre e ne fuoriesce del liquido, come anche avevo visto all’ecografia.
Non vedo anse intestinali incarcerate nel sacco ormai aperto. Infilo il dito mignolo nella porta e la trovo libera. Ho avuto la tentazione di illudermi che non ci fossero anse in quella massa dura, ma solo del liquido.
Sapendo comunque che sarebbe stato troppo miope chiudere la porta e fregarmene, decido di procedere alla laparatomia.
Aperto il piccolo addome non vedo liquido infiammatorio in peritoneo e le anse ileali sembrano tutte a posto senza segni di infiammazione.
Ancora una volta ho la tentazione di richiudere e di non cercare oltre. Arrivato però alla valvola ileo-cecale vedo un’area
tondeggiante e protrusa che presenta chiari segni di necrosi ed un inizio di perforazione. Tale area tondeggiante ha esattamente la forma della porta erniaria.
Che strana l’anatomia! Ad incarcerarsi in un’ernia congenita sinistra è l’ultima ansa ileale in una zona vicinissima all’appendice!
Trattandosi di una lesione molto piccola e soprattutto di un bambino in tenera età, decido di non fare una anastomosi ileo-colica, ma di recentare la lesione e di suturarla in due strati.
Dopo aver suturato l’addome in strati mi dedico quindi con calma al sacco erniario. E’ difficile riconoscere ed isolare gli elementi del funicolo spermatico, ma penso di esserci riuscito bene. Arrivato alla base del sacco pazientemente isolato, chiudo la porta erniaria e termino l’operazione con i passaggi tipici dell’ernia congenita.
Il bambino è oggi in seconda giornata post-operatoria e sta andando bene.
Spero che anche nei prossimo giorni il follow up non ci dia problemi.

Fr. Beppe Gaido


giovedì 19 gennaio 2023

Nuovo anno di formazione

Oggi abbiamo ripreso con le lezioni del giovedì.
Anche oggi la lezione è stata affidata a me ed ho presentato il tema delle ernie addominali.
Credo sia andata bene, ed anche il quorum è stato buono.
I volontari erano presenti alla lezione, che hanno apprezzato molto.
Cercheremo di tener fede a questo impegno settimanale con l'aggiornamento medico.

Fr. Beppe Gaido



mercoledì 18 gennaio 2023

I volontari

Gennaio e' certamente un mese con molti volontari. E' bellissimo quando alla sera mangiamo cena, finalmente insieme dopo una giornata piena, spesa ognuno nel proprio campo di impegno.
Ringrazio tutti per aver scelto di dedicare tempo e fatica per Matiri ed anche per me.
Il Covid ha portato con se' anche un blocco delle attivita' di volontariato. Sono stati 3 anni che ho speso quasi sempre in solitudine.
Ora il volontariato sembra ripartire.
Ringrazio il Dr Giuseppe Diana, chirurgo generale e professore universitario, per il suo grandissimo aiuto in sala operatoria. Grazie a Elisa, infermiera di sala e strumentista, sempre attiva ed instancabile.
Grazie alla dottoressa Lucia Floris ed al Dr Filippo Gallo, ginecologi: stanno facendo un grandissimo lavoro sia in sala parto, sia con le visite ginecologiche e sia anche con i PAP TEST gratuiti per la popolazione. Grazie anche ai loro coniugi, Alberto e Carme, che sostengono il loro lavoro ed aiutano sia in cucina che in stireria.
Un sentito ringraziamento alla Dottoressa Nietta Fenu ed alla Dottoressa Carla Cabras per il grande lavoro svolto in reparto con i pazienti ricoverati.

Fr. Beppe Gaido


martedì 17 gennaio 2023

Situazioni estreme

Ann è gravida di 34 settimane.
Ieri mattina era così arrabbiata con il marito che ha deciso di tentare il suicidio ingerendo una notevole quantità di anticriptogamici.
E’ stata portata in ospedale in condizioni critiche: il primo lavoro è stato quindi quello di stabilizzare le sue condizioni generali con una lavanda gastrica, con dei farmaci chelanti il veleno e con tutti i supporti di rianimazione a nostra disposizione.
Ma è impossibile rimuovere tutto il tossico: qualcosa sicuramente è già stato assorbito, se non altro nel tempo che intercorre tra l’assunzione e l’arrivo in ospedale.
Infatti, il battito fetale, per alcune ore perfetto, ha cominciato a far registrare inquietanti decelerazioni. La donna, dal canto suo, rimaneva confusa e piuttosto irrequieta.
Si imponeva una decisione: lasciamo che il veleno passi la barriera
placentare ed uccida il feto? Oppure tentiamo un cesareo su una mamma in condizioni precarie e su un bimbo non completamente a termine?
Parlare con la donna è stato impossibile perchè totalmente disorientata. Contattare i parenti è risultato egualmente impraticabile perchè non ci avevano lasciato alcun numero di telefono.
La decisione è stata quella di agire. Abbiamo praticato una dose di
Bentelan alla mamma per favorire ulteriormente la maturazione polmonare del piccolo, e siamo entrati in sala.
Peter è stato bravissimo ed è riuscito a fare la spinale ad una paziente che si muoveva come un serpente.
Il cesareo è andato bene ed il bimbo, seppur un po’ pretermine, dava ampi segni di voler sopravvivere a tutti i costi.
Oggi, con grande gioia possiamo constatare che la donna sta molto
meglio ed è pienamente cosciente, mentre il bambino non ha problemi e succhia vigorosamente al seno.
L’istinto materno ha prevalso sulle idee suicidarie ed oggi la mamma è serena con il suo piccolino.
Ringraziamo il Signore anche di questo successo e di questo piccolo incoraggiamento nella nostra vita ospedaliera di tutti i giorni.

Fr. Beppe Gaido


lunedì 16 gennaio 2023

Ai volontari ortopedici

Carissimi amici ortopedici,
Matiri è al momento un grosso centro traumatologico ed ortopedico.
La gente ci cerca prima di tutto per fratture.
Questo significa che per un volontario ortopedico c’è sicuramente sempre molto da fare. La nostra media è di operare 25-30 fratture alla settimana, con sala ordinariamente dal lunedì al sabato.
Spesso sono fratture recenti, ma non mancano quelle inveterate, quasi sempre trattate in modo inadeguato con gessi o trazione: in questi casi dobbiamo affrontare interventi difficili, con molto callo abnorme da rimuovere, con necessità di innesti ossei e sovente con sanguinamento importante.
La settimana scorsa abbiamo operato una frattura di tibia-fibula che era stata in gesso per due anni, con allineamento anomalo e con “non-union”.
L’altro grande problema che di solito ci troviamo ad affrontare è quello delle fratture esposte: normalmente i pazienti afferiscono a noi in ritardo e questo aumenta il rischio di osteoemieliti.
Le fratture esposte sono insieme un’emergenza ed una causa di ricoveri lunghissimi con molti interventi ripetuti: in emergenza, anche di notte, eseguiamo toelette chirurgiche e cerchiamo sempre di chiudere la cute e di coprire l’osso. La fissazione in un primo momento è normalmente esterna: il fissatore esterno rimane in media per 45 giorni, ma possono essere necessari anche tre mesi prima che i tessuti molli siano buoni abbastanza da poter supportare una fissazione interna. Raramente il fissatore esterno ottiene allineamento e callo adeguati, ed in questi casi non procediamo alla fissazione interna.
Normalmente facciamo terapia antibiotica ad ampio spettro, senza coltura, per motivi di costi.
In rari casi la frattura è così brutta e la vascolarizzazione così compromessa che dobbiamo scegliere l’amputazione.
Le fratture più frequenti sono quelle degli arti inferiori (femore, tibia, bimalleolari, rotula, collo femore e pertrocanteriche).
Frequenti anche le fratture degli arti superiori (omero, radio, ulna, falangi).
Per queste fratture abbiamo impianti adeguati: chiodi endomidollari di SIGN, placche e viti. Possiamo anche fare DHS ed endoprotesi di anca.
La protesi totali di anca o ginocchio le eseguiamo in collaborazione
con l’ospedale di Chogoria.
Abbiamo a disposizione il fluoroscopio.
Quello che per ora non possiamo fare è il bacino (acetabolo, branche pubiche) e la chirurgia spinale.
Abbiamo anche parecchia chirurgia della mano (soprattutto tenorrafie), e chirurgia plastica (innesti cutanei e lembi cutaneo-muscolari).
Non sono bravo con l’ortopedia più complessa, ma siamo felici di essere aiutati per esempio nel campo del piede torto, della correzioni di valgo o varo, ecc. Credo infatti di poter ancora imparare.
Offriamo gli infissi ortopedici gratuitamente, sia grazie a Sign che ai donatori italiani (Associazione Aiutando nel Mondo ed Associazione Volontari Sardi Karibu Africa) .
Il nostro sogno è di poter operare tutte le fratture entro 24 ore dal ricovero, a meno che si siano altre complicazioni che possono ritardare la terapia chirurgica (anemia, trauma cranico, condizioni generali critiche).
A conclusione dico che gli specialisti in ortopedia sono sempre i benvenuti e che abbiamo un grandissimo bisogno di loro.
Ma a loro chiedo anche comprensione: il nostro personale è giovane e sta imparando.
Non disponiamo di tante basi complete e nemmeno di molto strumentario, disponiamo di set generali per grandi e piccoli frammenti, e con questi strumenti facciamo tutto.
I nostri set sono un po’ vecchi e qualche strumento antiquato o rovinato: le pinze da osso e le pinze ossivore lasciano a volte a desiderare.
I trapani sono vecchi e di fabbricazione cinese, a parte un bello Striker.
Per cui siamo molto contenti di accogliere quegli ortopedici che saranno comprensivi e capiranno la situazione.

Fr. Beppe Gaido


domenica 15 gennaio 2023

Ai chirurghi che desiderano aiutarci

Carissimi amici,
inizio questa lettera sottolineando il grande bisogno che abbiamo del vostro preziosissimo aiuto.
La vostra opera sara’ tanto piu’ importante quanto piu’ sara’ coordinata ed organizzata in precedenza.
Vivendo e lavorando qui, sapremo indicarvi i campi in cui e’ bene investire le vostre potenzialita’ di servizio.
Vi faccio un esempio concreto: una mia amica lavora in Chad e mi dice che per loro l’intervento piu’ frequente e’ quello di calcolosi vescicale, sia negli adulti che nei bambini.
A Matiri invece penso di aver visto questo problema una volta soltanto in tre anni di attivita’ ecografica. Altro esempio puo’ essere quello della calcolosi colecistica, assolutamente rara da noi. Invece altre patologie sono all’ordine del giorno, e certo dobbiamo imparare e migliorare le nostre potenzialita’ in quel campo specifico: un settore di cui ho gia’ parlato recentemente e’ quello della ipertrofia prostatica benigna e del tumore della prostata.
Altra cosa importantissima, dal mio punto di vista, e’ il fatto che voi dovreste lavorare con noi, perche’ la vostra azione sara’ tanto piu’ efficace se, alla vostra partenza, noi saremo in grado di continuare con le operazioni che voi ci avete insegnato!
Dovrebbe essere un punto fisso per ogni missione chirurgica: andare via quando noi abbiamo imparato qualcosa di nuovo, che poi possiamo continuare ad offrire alla gente per tutto l’anno. Venire a fare interventi a cuore aperto per 3 settimane, e poi lasciare che queste operazioni non vengano piu’ eseguite per gli altri undici mesi, e’ certamente meno significativo rispetto ad un piano di operazioni forse piu’ semplici, ma rispondenti alle reali necessita’ della nostra gente, e che noi poi possiamo portare avanti da soli dodici mesi all’anno.
Ecco perche’ penso che non sia opportuno organizzare dei grossi team chirurgici: e’ meglio che venga un chirurgo solo, in modo che il secondo operatore possa essere sempre il sottoscritto. Nella stessa ottica penserei poco appropriato venire con le proprie strumentiste: abbiamo i nostri giovani infermieri che sono desiderosissimi di imparare e che certo verrebbero tagliati fuori se l’equipe straniera fosse compatta e numerosa.
Da sottolineare che i nostri strumenti chirurgici sono talvolta molto vecchi e potrebbero causare stress: fobici che non tagliano, porta-aghi che non tengono il filo, ecc.
Una parola a parte la spenderei riguardo all’anestesia: e’ certamente una buona cosa se un anestesista coraggioso e disponibile si associa al chirurgo. Questo per varie ragioni.
Quasi sempre abbiamo un solo anestesista, e la presenza di un volontario ci permetterebbe di lavorare in contemporanea in due sale.
Cio’ ci permetterebbe qualche intervento in piu’, soprattutto al sabato quando abbiamo il Dr Winters, o quando abbiamo un chirurgo volontario che potrebbe operare in autonomia.
Quindi do il benvenuto agli anestesisti, a cui comunque chiedo collaborazione e rispetto per i nostri anestesisti.
A loro dico inoltre che i farmaci a nostra disposizione non sono molti, e quelli che si sono sono talvolta obsoleti in Europa. Molti strumenti non li abbiamo, e gli anestesisti si dovranno adattare: per esempio abbiamo un ventilatore, ma non abbiamo un ecografo di sala per fare i blocchi regionali.
Anche se è mia intenzione scrivere un’altra lettera per i futuri volontari ortopedici , volevo fin da ora rendere noto ai chirurghi generali che al momento Matiri è soprattutto un centro traumatologico ed ortopedico.
Il chirurgo generale che viene a Matiri sarà quindi molto apprezzato anche quando si renderà disponibile ad aiutarmi nelle operazioni ortopediche che costituiscono l’80% della quotidiana attività chirurgica. Inoltre non si dovrà sentire frustrato se in una settimana ci saranno più fratture che ernie o tiroidectomie. Lui sarà utile ugualmente!
Credo che queste informazioni possano tornare utili a chi pensa di venire ad aiutarci.
Da parte nostra vi assicuriamo un ambiente caldo e accogliente, in cui tutti vorranno aiutarvi ed imparare da voi.
Altra cosa che vi promettiamo, senza paura di essere smentiti, e’ che non vi annoierete; anzi, anticipatamente vi chiediamo la disponibilta’ ad essere chiamati anche di notte per le tante possibili emergenze, prima di tutto per i cesarei.

PS: La foto è di oggi: il Dr Winters (ortopedico statunitense) sta facendo una endoprotesi d'anca, aiutato dal Dr Diana (chirurgo generale italiano), da Elisa Beltrami (infermiera di sala italiana) e da Marcella (tecnica di sala operatoria keniana).

Fr. Beppe Gaido


venerdì 13 gennaio 2023

Lettera dalla maternità

Hi, io sono un’Infermiera della Maternity, mi chiamo J.
E’ da un po’ che lavoro qui, ma le altre colleghe sono tutte molto nuove e provengono direttamente dalla scuola. La maternità di Matiri è molto importante, al fine di ovviare all’elevata mortalità durante il parto a domicilio: è un reparto di tanta gioia e purtroppo anche di drammi terribili: tante nascite felici, ma anche mamme e neonati che muoiono. Noi sappiamo per sicuro che, negli anni, sono venuti al mondo migliaia e migliaia di bambini meravigliosi e che molti di loro o le loro mamme non sarebbero sopravvissuti, senza questa Maternity . Come in tutto l’Ospedale, siamo poche ed ognuna è, in qualche modo, “madre” di tantissimi bimbi: anche se non abbiamo sofisticati strumenti di monitoraggio del travaglio, anche se abbiamo solo l’antico stetoscopio ostetrico, le nostre mani sapienti, la nostra grande esperienza, siamo orgogliose del nostro lavoro. Nella nostra cultura avere figli è di importanza capitale, il titolo di rispetto con cui ci si rivolge alla gente non è MRS o MISTER ma MAMA o BABA. Le donne sono realmente disperate se non possono concepire, talvolta non è colpa loro, ma è così difficile convincere i mariti a fare i test di fertilità; così, spesso, si sottopongono a delicati interventi chirurgici, pur di cogliere anche scarse possibilità. Il nostro lavoro si svolge con grande autonomia, seguiamo da sole il travaglio, il parto, valutiamo le condizioni di salute del neonato, decidiamo per la dimissione. Io penso di poter dire, senza presunzione, che siamo veramente brave; infatti, quando qualche cosa nel travaglio non ci convince e coinvolgiamo Fr. Beppe per un eventuale Taglio Cesareo difficilmente veniamo smentite. E’ un momento di tensione quando aspettiamo che l’infermiera di Sala Operatoria ci chiami per consegnarci il neonato avvolto in un telo verde: se la sua voce è accompagnata dal pianto
del neonato, che sollievo.
Chi ha visto la nostra Sala Parto forse ne è rimasto colpito per la sua modestia ed essenzialità: è una stanza con due lettini separati da una tenda, un carrello per gli strumenti una vecchia lampada scialitica, una culla con una lampada per riscaldare il neonato, talvolta più d’uno. Spesso partoriscono in contemporanea due donne, a volte la stanza risuona di gemiti di dolore, a volte le mamme serrano i denti per non fare neanche un lamento. In una stanzetta attigua ci sono tre incubatrici per le prime ora di vita o per qualche bimbo soffrente. Per fortuna i lavori della nuova Maternity stanno procedendo velocemente, i soldi dei donatori arrivano per completare tutto.
Spesso abbiamo dei Volontari, Ginecologhe/i od Ostetriche che passano qualche tempo con noi. La cosa ci fa piacere, il lavoro non manca, basta mettersi d’accordo nel modo di lavorare, non pestarsi i piedi, per così dire. Personalmente ci resto male se una Volontaria si rivolge, per esempio, direttamente a Fr. Beppe senza parlare di un problema del travaglio con me; mi sembra una mancanza di
considerazione della mia esperienza: probabilmente ho assistito a molti, molti, molti parti più di lei. Mi hanno raccontato che in alcuni Ospedali in Italia nascono 600/ 700 bambini ogni anno: a Chaaria sono più di 2000 suddivisi su un organico molto, molto, molto inferiore. Mi piace molto invece quando si parla dei rispettivi mondi lavorativi e ti viene da dire:”è una bella idea, non ci avevo pensato!”. Purtroppo molte Volontarie Ostetriche sono giovani, non riescono a ritornare gli anni seguenti, ma penso che si ricorderanno per tutta la vita del “bambinificio” di Chaaria e delle sue nurses.
Siamo pienamente disponibile ad accettare nuovi consigli sulla tecnica del parto, anche se lo siamo ancora di più quando le volontarie apprezzano pure il nostro stile di far partorire.
A Chaaria poi, Maternity e Pediatria sono un unico reparto. Noi suddividiamo il nostro tempo tra la sala parto e le camere della pediatria, dove prendiamo le vene ai piccoli malati, facciamo la terapia, seguiamo il medico in visita.
Siamo quindi molto contente quando le ostetriche italiane vogliono aiutarci non solo in sala parto ma anche in tutta la mole di lavoro che abbiamo in pediatria.

J., a nome di tutte le nurses della Maternity


mercoledì 11 gennaio 2023

Una lettera dagli infermieri di Matiri

Ciao, mi chiamo P. e sono infermiere di reparto nell’Ospedale di Matiri. Lavoro qui da diversi anni ed ho visto cambiare molte cose: sicuramente i Volontari hanno contribuito a questo, sia con i soldi che raccolgono sia con la loro presenza qui; volontari gioie e dolori, ne vediamo arrivare molti, infermiere/i, medici in genere giovani, che si fermano qualche settimana. Qualcuno, fortunatamente si ferma qualche mese ed è così utile!
E’ uno spettacolo vedere la loro faccia il primo giorno: stupore, disagio, ansia ed una domanda negli occhi: come farò a lavorare in queste condizioni? Noi staff locale ci siamo abituati; al poco spazio,
al fatto che convivono malati internistici, chirurgici, ortopedici, immuno depressi in fase avanzata, affetti da TBC, o da ulcere tropicali mostruose, assieme ad ustionati, disturbati mentali ed altro ancora. Se i malati sono tanti invece gli infermieri sono pochi, pochissimi con turni di lavoro lunghissimi (magari preceduti e seguiti da una lunga camminata da e per casa) ed il lavoro da fare infinito: distribuire i farmaci, seguire i protocolli degli operati, tenere sempre sotto controllo i lavaggi continui dei prostatectomizzati, medicare le piaghe da decubito, le ulcere tropicali, le ustioni
cambiare chi si è sporcato e poi all’improvviso arriva l’urgenza, il paziente da preparare per l’operazione immediata: BRANULA, SHAVING, CATHETER, FHG, BLOOD GROUP, RBS; in continuazione i nuovi ricoveri, le cartelle cliniche da compilare. Non sempre hai in reparto qualcuno a cui chiedere: i Clinical Officer dopo il giro malati sono dagli out patient, i chirurghi in sala, Fr. Beppe dappertutto. E i Volontari?
Qualche volta è anche difficile parlarsi perché il loro Inglese è scarso e la nostra pronuncia – dicono – particolare; ma questo è solo una parte del problema. Tanti, sia medici che infermieri arrivano con tanta buona volontà ma con l’idea del “loro ospedale” in testa, dove il lavoro è suddiviso tra tante persone, dove i malati sono omogenei nei vari reparti: i chirurgici, i medici, gli ortopedici i neurologici... e spesso hanno esperienza solo di “quel” reparto. Qui scattano due atteggiamenti: qualcuno chiede cosa può fare per aiutarmi a finire tutta la mole di lavoro, come può fare per lavorare senza tenermi occupato a lungo a fare l’interprete con i malati: le medicazioni in autonomia, l’attenzione alle flebo da cambiare, ai lavaggi; per i medici il controllo delle cartelle cliniche, degli esami fatti e da fare, le dimissioni, il raccordarsi con i Clinical Officers e con noi, che abbiamo tanto da imparare ma anche tanto da insegnare.
L’altro atteggiamento è di chi vuole cambiare il nostro modo di lavorare: “da noi si fa così” “il carrello dei farmaci è disordinato” “è inutile fare le medicazioni a giorni alterni, basta meno” “ i malati sono sporchi e puzzano” “ possibile che nessuno abbia visto che l’infusione era finita?” e tanta altre cose. A questo punto noi li lasciamo dire, magari li evitiamo: loro sono come il vento che mette sottosopra le foglie ma poi passa e va; noi invece restiamo, il nostro Ospedale va avanti anche senza questi volontari, ma sicuramente sono occasioni mancate per loro e per noi.
Invece è bello ritrovare quelli che tornano anno dopo anno, che si sono trovati bene con noi e quando ci vedono si ricordano i nostri nomi, ci abbracciano con affetto, chiedono della nostra famiglia. Sono quelli che magari ci hanno insegnato qualche cosa con gentilezza e condivisione, sono quelli che con noi fanno crescere l’Ospedale.
Lo so che non è facile questo né per i nuovi volontari né per noi, ma i problemi si affrontano affiancandosi e parlando insieme: noi Africani siamo pazienti ed amiamo parlare. Karibu sana.

P. a nome di tutti gli infermieri di Matiri


martedì 10 gennaio 2023

La morte endouterina

Joyce è incinta di 8 mesi. E' venuta in ospedale perchè non avverte i normali movimenti del feto nella sua pancia. La faccio accomodare sulla barella e inizio a fare l'eco. La verità mi si presenta davanti immediatamente nella sua durezza, in quanto localizzo immediatamente il cuore fetale, ma non ne vedo alcun movimento. Prendo un po' di tempo, perchè è sempre difficile iniziare un discorso del genere:
“Hai altri figli?”.
“Sì, ne ho uno di 3 anni”.
“Sai, a volte le gravidanze hanno dei problemi. Ci sono dei difetti di
fabbrica, per cui madre natura, invece di permettere la nascita di un bimbo che non avrà salute, preferisce che il feto non venga neppure alla luce”.
“Vuoi dire che il mio bambino è morto dentro di me?”.
Abbasso lo sguardo ed annuisco con un cenno del capo.
La reazione di Joyce è stata drammatica, molto più violenta di quanto mi aspettassi. Ha iniziato a piangere forte e a chiedersi perchè proprio a lei. Poi ha aggiunto che era sicura di essere oggetto di malocchio e di sapere anche chi sono i vicini di casa che la odiano e che vanno dallo stregone per farla soffrire.
Joyce ha pianto per più di un'ora, ma ora è calma. Ha compreso che la cosa più importante è ora far sì che quel corpicino senza vita esca dal suo organismo, senza crearle ulteriori problemi.
Ha accettato la flebo per il parto pilotato, ed ora è là sdraiata, con gli occhi sbarrati verso il soffitto. Aspetta le contrazioni senza dire una parola. Chissà quanto dolore sta passando per la sua testa e nel profondo del suo cuore.
Nel suo caso specifico veramente non sappiamo quale sia il “difetto di fabbrica”, in quanto tutti i test da noi eseguiti sono negativi. Anche il gruppo sanguigno è zero positivo, per cui non può trattarsi di un'incompatibilità Rh.
Magari davvero c’erano dei problemi cromosomici, o qualche malformazione grave a livello del cuore o del sistema nervoso.

Fr. Beppe Gaido


domenica 8 gennaio 2023

God is great

Catherine viene dal Tharaka, non molto lontano da Matiri. Ci è stata inviata per anemia grave e per assenza di battito cardiaco fetale. Lei e’ forte, in quanto le hanno detto tutto, e riesce ad essere composta e stoica. Non parla di spiriti maligni e continua a ripetere: “Kazi ya Mungu” (È la volonta’ di Dio).
La sua emoglobina è 4 grammi, ma, con nostra sorpresa, lei cammina e non lamenta grandi problemi, se non una tachicardia severa con cuore che galoppa ad oltre 140 al minuto.
Le faccio un’eco, soprattutto per decidere il da farsi. Sono infatti combattuto tra una revisione della cavita’ uterine ed un parto
pilotato con oxitocina.
Ma questa volta il monitor mi presenta un’immagine dolce a vedersi: il battito e’ presente e vivace. Il feto e’ di circa quattro mesi, ed e’ per questo che nel dispensario di partenza non avevano sentito l’attivita’ cardiaca, mentre la mamma ancora non era cosciente dello scalciare del piccolo. Le ho dato la notizia, che l’ha fatta saltare sul lettino ed esultare con un forte: “Alleluya, God is great!”.
Ma allora perche’ e’ anemica. E’ magra, ma non sembra particolarmente denutrita.
“Hai avuto perdite ematiche negli ultimi mesi?”
“Neanche una volta!”
“Ma allora come mai?”
Sposto la sonda un po’ piu’ in su, e, dalla parte sinistra dell’addome, scopro la ragione del suo stato: ha una milza enorme che quasi le arriva all’ombelico.
Che stupido! Come ho fatto a non pensarci prima! Il Tharaka e’ zona di altissima trasmissione malarica, durante tutto l’anno; e la popolazione sovente sviluppa splenomegalie veramente incredibili.
Quest’ organo, normalmente deputato ad eliminare i globuli rossi invecchiati, inizia a lavorare eccessivamente, e a mangiare pure le emazie appena prodotte, con il risultato che la persona diventa anemica. La gravidanza poi aggrava tale stato di cose perche’, in quel periodo della vita, l’organismo e’ sotto stress, e deve fornire sangue anche alla nuova vita.
Catherine sara’ trasfusa al piu’ presto, per dare ossigeno sufficiente sia a lei che al nascituro.
Oggi la nostra storia si conclude con una nota positiva.

Fr. Beppe Gaido


venerdì 6 gennaio 2023

Sindrome nefrosica

Alì ha 5 anni di età, ed il suo viso è tondo come la luna piena.
Anche la sua pancia è ora distesa, mentre le sue gambe sono edematose.
Ce lo hanno inviato da Isiolo perché pensano ad una malattia di cuore e vogliono un ECG. La mamma però è sicura che si tratti di malocchio e che ci siano degli spiriti che vogliono far soffrire il suo bambino.
Spendo un po’ di tempo con lei e cerco di convincerla del fatto che la malattia non è mai una punizione divina, neanche in un contesto animista, in quanto Dio è creatore, e quindi è colui che sostiene la
vita. Non potrebbe essere Dio, se il suo compito fosse quello di far soffrire l’opera delle sue mani. Non sono convinto che la donna mi abbia creduto.
L’elettrocardiogramma era comunque negativo, mentre invece l’ecografia addominale rivelava dei reni gonfi e “non belli”, e la pancia era gia’ tutta piena di acqua. Ho richiesto un esame urina ed il test del colesterolo, e sono così arrivato a capire quale sia lo spirito che affligge il piccolo Alì. Si tratta di sindrome nefrosica, una condizione molto comune qui in Kenya. Pare che il più delle volte sia
causata dalla malattia reumatica; quella stessa condizione morbosa che tanti problemi ci da', in quanto molte volte attacca il cuore e crea danni irreversibili alle valvole. In alcuni casi puo’ anche trattarsi di una complicazione della malaria, ed in altri non riusciamo proprio
a comprenderne la causa.
Quando l’origine della malattia è totalmente sconosciuta, evitiamo però di dirlo ai genitori, al fine di non creare in loro
l’impressione che si tratti dell’opera di uno spirito cattivo o del malocchio.
Per Alì la strada verso la guarigione sara’ lunga e difficoltosa. Ci vorranno mesi di cortisonici, che gli causeranno anche effetti collaterali ed altri problemi. Magari, se non ce la facessimo con gli steroidi da soli, dovremo poi anche ricorrere a dosi basse di farmaci immunosoppressori, che potrebbero anche loro creare delle difficoltà all’organismo del piccolo.
La sindrome nefrosica è molto scoraggiante sia per i genitori che per noi, in quanto molto spesso recidiva e getta le mamme in uno stato di disperazione.

Fr. Beppe Gaido


giovedì 5 gennaio 2023

Gli errori dei medici

Quando mi laureai molti anni fa, qualcuno mi regalò un cofanetto che ho perso da molti anni.
Quello che non ho dimenticato è quanto scritto sul coperchio di tale soprammobile: GLI ERRORI DEI MEDICI SONO SEPOLTI SOTTO TERRA.
Ho sempre trovato questa cinica frase verissima, e, con il passare degli anni, sempre più azzeccata, purtroppo.
Ci ho ripensato anche oggi a motivo di due esperienze dall'esito diverso, ma entrambe caratterizzate da qualche errore mio o di un altro medico.
Laura è stata ricoverata oggi ed immediatamente l'abbiamo portata in sala: aveva una massa in regione crurale sinistra da circa una settimana. Era andata in un altro ospedale, ma le avevano dato solo antibiotici, con la prescrizione di tornare poi per biopsia linfonodale, in caso la massa non fosse scomparsa.
La donna è venuta a Matiri ancor prima di finire la terapia, lamentando che il dolore non era affatto migliorato e che ora vomitava tutto.
Un'eco urgente mi ha portato immediatamente alla diagnosi: ernia crurale strozzata con addome acuto.
L'intervento è andato bene, ma certamente questa donna ha rischiato di morire a motivo di una diagnosi errata. Avrebbe dovuto essere operata una settimana fa.
Nel secondo caso l'errore l'ho fatto io: ieri ho visitato una donna in preda a fortissimi dolori a tutte le articolazioni. Ho visto che aveva una diagnosi precedente di lupus eritematoso sistemico.
Ho pensato che con un po' di cortisone, unito ai farmaci che già assumeva per il lupus, la donna sarebbe migliorata velocemente.
Invece il dolore non è mai diminuito e non ha risposto a nessuna terapia, neppure alla morfina. Stasera la donna mi ha detto che non ce la faceva più con il dolore e che per lei era certamente meglio morire. Mi ha detto di dire al marito che gli voleva bene.
Con mia sorpresa, all'età di 35 anni, la malata è mancata davvero pochi minuti fa. Lo sentiva che sarebbe morta, ed io sono senza parole: non so cosa mi sia sfuggito di quel tremendo dolore che la paziente sentiva; non ne ho compreso la gravità e neppure la causa. Ho sbagliato qualcosa sia nella diagnosi che nella terapia, ed ancora una volta il mio errore è ora sepolto sotto terra.

PS: nella foto la nuova cappa aspirante per il laboratorio dell'ospedale, strumento necessario nel maneggiare campioni
pericolosi...in primis quelli della tubercolosi.

Fr. Beppe Gaido


mercoledì 4 gennaio 2023

I nuovi volontari

Ieri a Matiri sono arrivati i primi due volontari italiani del 2023.
Sono Giuseppe Diana, chirurgo generale, ed Elisa Beltrami, infermiera di sala.
Oggi abbiamo lavorato insieme in una lunga maratona chirurgica.
So che sono stanchi, anche a causa del viaggio, ma sono certo che staremo bene insieme e ci aiuteremo molto.
Li ringrazio di cuore anche per il materiale chirurgico ed anestesiologico che ci hanno portato.
A loro auguro un'esperienza proficua ed umanamente gratificante.

PS: nella foto il nuovo laringoscopio che ci hanno donato

Fr. Beppe Gaido


lunedì 2 gennaio 2023

Che nottata

Ero molto stanco essendo solo in ospedale da 10 giorni e dovendo coprire notte e giorno sempre.
Anche durante la notte di capodanno, pur andando a dormire alle 22:00 senza aspettare il nuovo anno, mi sono trovato in piedi già all'una, ed in tutto avrò dormito 3 ore.
Ieri poi la notte è stata tremenda: prima un neonato di due giorni con occlusione intestinale da meconio e condizioni generali critiche. Poi, dopo un paio d'ore di riposo, un travaglio pretermine.
Quindi, verso le 4:30, un incidente della strada con paziente in condizioni gravissime: coma, edema polmonare, convulsioni, oltre a due fratture agli arti inferiori.
Questo giovane studente di 22:00 anni è ancora vivo, con i farmaci a nostra disposizione. Stiamo cercando di trasferirlo in una terapia intensiva, ma non troviamo posto.
Dopo una notte così, mi sento uno zombi.
Il fatto è che da noi la notte non è considerata un turno, ma una reperibilità, per cui poi il giorno seguente devi continuare a lavorare, nella speranza effimera che la notte dopo sia migliore.
Al momento siamo solo in due medici. La collega è stata via per le feste, ma anche al suo ritorno, normalmente le chiedo di coprire solo due notti alla settimana, dal momento che aspetta un bambino tra non molto.
Quindi, 5 volte alla settimana, sono di guardia di notte e lavoro di giorno.
Onestamente è un po' dura.

Fr. Beppe Gaido


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