domenica 29 gennaio 2023

Info per infermieri italiani (prima parte)

Prima di tutto grazie per essere venuti ad aiutarci a Matiri.
La ragione di questo scritto è di darvi qualche indicazione che possa aiutarvi a comprendere meglio gli infermieri kenyoti con cui vi troverete ad operare.
Prima di tutto tenete conto che in questo momento la maggior parte dei vostri colleghi africani è estremamente giovane: quasi tutti hanno appena terminato la scuola ed alcuni di loro addirittura sono ancora studenti. E’ quindi normale che siano molto inesperti!
Altro elemento che necessariamente si associa alla loro giovane età è il fatto che essi tendono a non voler rimanere a Matiri per lungo tempo: sovente essi desiderano ancora specializzarsi, oppure cercano ospedali meno rurali, meno duri e con miglior stipendio. Ciò comporta il fatto che il turn over è altissimo, e la vita media di un infermiere nel nostro ospedale è talvolta inferiore ad un anno.
Questo crea disagi non da poco anche a noi, in quanto, quando hanno imparato delle cose ed hanno iniziato ad assumersi responsabilità’, poi ci lasciano portandosi con sé il patrimonio di esperienze che nuovamente dobbiamo cercato di trasmettere ai nuovi venuti.
Chiediamo quindi agli infermieri italiani tanta pazienza ed anche un occhio di comprensione nei confronti delle nostre evidenti carenze nel campo del nursing.
Ci sono però alcuni infermieri “storici” che con il loro patrimonio di esperienza possono essere un vero punto di riferimento anche per i volontari italiani, sia nel reparto di medicina generale, sia in quello della pediatria-maternità.
Il punto centrale è il fatto che gli infermieri italiani che vengono a Matiri per due o tre settimane si devono prima di tutto mettere in un atteggiamento di umiltà e di collaborazione. Noi europei ci rechiamo in Kenya sostanzialmente per aiutare e per collaborare, sforzandoci innanzitutto di essere accolti e di farci accettare. Solo quando siamo riusciti a farci conoscere ed amare, poi potremo tentare di insegnare delle tecniche con la speranza che gli infermieri kenyoti accettino ed apprezzino. Chi si pone dal primo giorno in atteggiamenti ipercritici, con il pensiero che tante cose vanno cambiate nel nostro modo di lavorare, si espone al rischio di essere rifiutato dal nostro staff locale che si sentirà poco apprezzato, erigendo quindi dei muri di divisione e di isolamento attorno al nuovo arrivato.
Il mio consiglio è che prima il volontario si ponga semplicemente al loro fianco; cerchi di diventare loro amico e poi, quando questo rapporto si cementa pian piano, saranno loro a chiedere: “ma voi questa cosa come la fate in Italia?”.
Il volontario deve poi considerare le differenze di formazione tra infermieri italiani e kenyoti: essi studiano tre anni e mezzo, più o meno come in Italia. Il loro curriculum è però molto diverso.
Ammetto che probabilmente essi sono più carenti degli italiani riguardo alla formazione nursing: il prendersi cura del benessere totale del paziente, la sua igiene personale, la cura e la prevenzione dei decubiti sono sicuramente un po’ carenti nello staff di Matiri, e quindi questa è un’area in cui i volontari possono certamente avere un impatto che porti ad un miglioramento. Ma ripeto che ciò non si realizzerà con un atteggiamento di superiorità e di critica nei confronti del personale africano. Il miglioramento potrà pian piano avverarsi con tempi forse biblici o evoluzionistici, ma si compirà in modo sostenibile e continuativo solo se i nostri infermieri saranno stati convinti pian piano da persone coerenti, che parlano poco ed invece insegnano molto con l’umile e costante esempio della vita. Fare critiche aperte o lezioni estemporanee sul modo di lavorare quasi mai ottiene un effetto positivo, anzi puo’ essere deleterio, in quanto certamente essi non daranno alcun ascolto a docenti mai conosciuti prima, che passano da Matiri come meteore, che si pongono su un piedistallo di superiorità e magari danno lezioni in italiano od in un inglese a dir poco stentato. Per questo il mio consiglio agli infermieri volontari è il seguente: lavorate con loro, diventate loro amico ed aspettate che siano loro a farvi domande sul vostro modo di lavorare.
Certamente anche la sterilità e l’igiene sono un punto di carenza dei nostri infermieri. Pure da questo punto di vista gli infermieri italiani possono apportare grandi miglioramenti, ma lo devono fare inbmodo prudente, proprio come ho descritto sopra.
Vedrete mettere dei cateteri con tecniche non sterili. Se lo dovete fare voi, usate tutta la sterilità che è propria del caso, il vostro comportamento creerà in loro delle domande, e, se il vostro modo di lavorare è a loro piaciuto, poi vi imiteranno. Lo stesso vale per le garze sterile, le medicazioni e via dicendo.
Oggi mi fermo qui. Continueremo il discorso più avanti sui tantissimi pregi e sulle eccezionali qualità che i nostri infermieri africani hanno, e su cui credo anche loro abbiano qualcosa da offrire agli italiani. Si tratta infatti a mio parere di uno scambio interculturale, e non di un movimento a senso unico.

Fr. Beppe Gaido


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