Ann è gravida di 34 settimane.
Ieri mattina era così arrabbiata con il marito che ha deciso di tentare il suicidio ingerendo una notevole quantità di anticriptogamici.
E’ stata portata in ospedale in condizioni critiche: il primo lavoro è stato quindi quello di stabilizzare le sue condizioni generali con una lavanda gastrica, con dei farmaci chelanti il veleno e con tutti i supporti di rianimazione a nostra disposizione.
Ma è impossibile rimuovere tutto il tossico: qualcosa sicuramente è già stato assorbito, se non altro nel tempo che intercorre tra l’assunzione e l’arrivo in ospedale.
Infatti, il battito fetale, per alcune ore perfetto, ha cominciato a far registrare inquietanti decelerazioni. La donna, dal canto suo, rimaneva confusa e piuttosto irrequieta.
Si imponeva una decisione: lasciamo che il veleno passi la barriera
placentare ed uccida il feto? Oppure tentiamo un cesareo su una mamma in condizioni precarie e su un bimbo non completamente a termine?
Parlare con la donna è stato impossibile perchè totalmente disorientata. Contattare i parenti è risultato egualmente impraticabile perchè non ci avevano lasciato alcun numero di telefono.
La decisione è stata quella di agire. Abbiamo praticato una dose di
Bentelan alla mamma per favorire ulteriormente la maturazione polmonare del piccolo, e siamo entrati in sala.
Peter è stato bravissimo ed è riuscito a fare la spinale ad una paziente che si muoveva come un serpente.
Il cesareo è andato bene ed il bimbo, seppur un po’ pretermine, dava ampi segni di voler sopravvivere a tutti i costi.
Oggi, con grande gioia possiamo constatare che la donna sta molto
meglio ed è pienamente cosciente, mentre il bambino non ha problemi e succhia vigorosamente al seno.
L’istinto materno ha prevalso sulle idee suicidarie ed oggi la mamma è serena con il suo piccolino.
Ringraziamo il Signore anche di questo successo e di questo piccolo incoraggiamento nella nostra vita ospedaliera di tutti i giorni.
Fr. Beppe Gaido
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