mercoledì 11 gennaio 2023

Una lettera dagli infermieri di Matiri

Ciao, mi chiamo P. e sono infermiere di reparto nell’Ospedale di Matiri. Lavoro qui da diversi anni ed ho visto cambiare molte cose: sicuramente i Volontari hanno contribuito a questo, sia con i soldi che raccolgono sia con la loro presenza qui; volontari gioie e dolori, ne vediamo arrivare molti, infermiere/i, medici in genere giovani, che si fermano qualche settimana. Qualcuno, fortunatamente si ferma qualche mese ed è così utile!
E’ uno spettacolo vedere la loro faccia il primo giorno: stupore, disagio, ansia ed una domanda negli occhi: come farò a lavorare in queste condizioni? Noi staff locale ci siamo abituati; al poco spazio,
al fatto che convivono malati internistici, chirurgici, ortopedici, immuno depressi in fase avanzata, affetti da TBC, o da ulcere tropicali mostruose, assieme ad ustionati, disturbati mentali ed altro ancora. Se i malati sono tanti invece gli infermieri sono pochi, pochissimi con turni di lavoro lunghissimi (magari preceduti e seguiti da una lunga camminata da e per casa) ed il lavoro da fare infinito: distribuire i farmaci, seguire i protocolli degli operati, tenere sempre sotto controllo i lavaggi continui dei prostatectomizzati, medicare le piaghe da decubito, le ulcere tropicali, le ustioni
cambiare chi si è sporcato e poi all’improvviso arriva l’urgenza, il paziente da preparare per l’operazione immediata: BRANULA, SHAVING, CATHETER, FHG, BLOOD GROUP, RBS; in continuazione i nuovi ricoveri, le cartelle cliniche da compilare. Non sempre hai in reparto qualcuno a cui chiedere: i Clinical Officer dopo il giro malati sono dagli out patient, i chirurghi in sala, Fr. Beppe dappertutto. E i Volontari?
Qualche volta è anche difficile parlarsi perché il loro Inglese è scarso e la nostra pronuncia – dicono – particolare; ma questo è solo una parte del problema. Tanti, sia medici che infermieri arrivano con tanta buona volontà ma con l’idea del “loro ospedale” in testa, dove il lavoro è suddiviso tra tante persone, dove i malati sono omogenei nei vari reparti: i chirurgici, i medici, gli ortopedici i neurologici... e spesso hanno esperienza solo di “quel” reparto. Qui scattano due atteggiamenti: qualcuno chiede cosa può fare per aiutarmi a finire tutta la mole di lavoro, come può fare per lavorare senza tenermi occupato a lungo a fare l’interprete con i malati: le medicazioni in autonomia, l’attenzione alle flebo da cambiare, ai lavaggi; per i medici il controllo delle cartelle cliniche, degli esami fatti e da fare, le dimissioni, il raccordarsi con i Clinical Officers e con noi, che abbiamo tanto da imparare ma anche tanto da insegnare.
L’altro atteggiamento è di chi vuole cambiare il nostro modo di lavorare: “da noi si fa così” “il carrello dei farmaci è disordinato” “è inutile fare le medicazioni a giorni alterni, basta meno” “ i malati sono sporchi e puzzano” “ possibile che nessuno abbia visto che l’infusione era finita?” e tanta altre cose. A questo punto noi li lasciamo dire, magari li evitiamo: loro sono come il vento che mette sottosopra le foglie ma poi passa e va; noi invece restiamo, il nostro Ospedale va avanti anche senza questi volontari, ma sicuramente sono occasioni mancate per loro e per noi.
Invece è bello ritrovare quelli che tornano anno dopo anno, che si sono trovati bene con noi e quando ci vedono si ricordano i nostri nomi, ci abbracciano con affetto, chiedono della nostra famiglia. Sono quelli che magari ci hanno insegnato qualche cosa con gentilezza e condivisione, sono quelli che con noi fanno crescere l’Ospedale.
Lo so che non è facile questo né per i nuovi volontari né per noi, ma i problemi si affrontano affiancandosi e parlando insieme: noi Africani siamo pazienti ed amiamo parlare. Karibu sana.

P. a nome di tutti gli infermieri di Matiri


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