domenica 30 giugno 2024

IL VANGELO DI OGGI


 

In questo periodo mi sono soffermato piu' volte a meditare sullo stupendo brano evangelico della Messa odierna: la guarigione dell'emorroissa.

E' un testo plastico e bellissimo, quasi una rappresentazione cinematografica dell'accaduto.

 Mi viene prima di tutto da pensare a questa donna che ha avuto emorragie da molti anni: avendo spesso a che fare con situazioni del genere qui a Matiri, mi rendo conto che probabilmente si trattava di una persona ostracizzata e messa ai margini della societa'. Una emorragia genitale che duri da tempo e' spesso di origine neoplastica: questa mia ipotesi potrebbe anche essere sostenuta dal fatto che la donna aveva sofferto molto sotto le cure di molti medici, e non era mai guarita. Una neoplasia di questo tipo porta con se' una puzza tremenda, che rende la vita sociale praticamente impossibile. Quando poi penso ad una situazione geografica come quella della Palestina di quei tempi, con poca acqua per lavarsi e senza la possibilita' di usare assorbenti igienici, mi rendo conto di quanto coraggio ci sia voluto per questa donna ad infilarsi in mezzo alla folla per cercare di toccare Gesu'. Il suo stesso odore avrebbe detto a tutti chi era e di che cosa soffriva, ma il rispetto umano non ha fermato la sua fede: lei sapeva che, se avesse toccato Gesu', sarebbe guarita. E' stata la fede incrollabile nella potenza taumaturgica di Cristo a farle superare tutte queste barriere sociali, le umiliazioni ed i rimproveri dei soliti benpensanti.

Un altro elemento che rende tale brano a me molto caro e' il fatto che la donna era probabilmente molto debole: perdere sangue per anni in un contesto in cui la trasfusione e' ancora di la' da venire, vuol dire anemia grave, debolezza e difficolta' a muoversi. Probabilmente quei pochi passi le sono costati uno sforzo enorme ed il rischio di svenire cammin facendo. Ma la fede la spinge oltre la debolezza,  e le da' una forza interiore che l'aiuta a superare tutte le sue limitazioni fisiche. E la lezione che traggo per me stesso a questo punto e' che, se veramente ci crediamo, possiamo superare tantissimi nostri limiti.

Inoltre, una donna mestruata in quel perido, secondo la legge ebraica, era "intoccabile" perche' impura: ma lei tocca il mantello di Cristo, ed in cio' si dimostra libera dalle prescrizioni e dalle rubriche... come avrebbe infatti potuto ricevere il contatto guaritore se avesse dovuto attendere l'arresto di una emorragia che continuava da tantissimi anni? Ma "il sabato e' fatto per l'uomo e non viceversa", e la fede e' piu' forte di tutte le prescrizioni della legge.

E la donna guarisce anche grazie allo "sforzo" della sua fede: probabilmente nel suo cuore lei era gia' convinta che Gesu' poteva guarirla, ma e' stato necessario prendere una decisione, superare tante barriere sociali e legislative, vincere il pudore e la vergogna, esporsi in prima persona per poter ottenere la guarigione. E' come se il Vangelo ci dicesse: devi pagare di persona le grazie che chiedi con insistenza al Signore!

Certo quindi il brano evangelico che oggi medito con voi e' una lezione sulla fede: una fede che deve essere cosi' forte da credere oltre la normale razionalita' umana (molti medici gia' avevano fallito, e Gesu' non era neppure un dottore... ma lei crede lo stesso); una fede che deve portarci ad atti concreti e spesso socialmente sconvenienti; una fede che richiede coraggio per affrontare le critiche dei benpensanti e di chi si crede perfetto perche' legalisticamente a posto con la legge.

Gesu' la guarisce "automaticamente", dopo che lei gli tocca il mantello, ma si gira e la vuole identificare. E' molto bella la scena descritta dal Vangelo, ed il senso pratico dei soliti saggi: "Gesu', ma cerca di ragionare! Guardati intorno, non vedi che calca? Tutti ti toccano e ti spintonano da tutte le parti! Che razza di domanda stai facendo?"

Ma il Signore ha bene in mente cosa vuole e gia' conosce la persona che ha toccato il suo mantello: lui desidera che la donna venga allo scoperto, che dica a tutta la moltitudine che e' stata lei. In pratica Gesu' chiede all'emorroissa una dichiarazione pubblica di fede: anche in questo il Vangelo in esame ci ispira e ci stimola.

Dobbiamo essere coraggiosi abbastanza da "rendere ragione della nostra fede".

La guarigione era avvenuta anche prima, immediatamente dopo che l'emorroissa aveva toccato il Salvatore, ma Lui le chiede di essere pubblicamente una sua discepola, di dire a tutti che cio' che ha fatto e' stato un atto di fede nel potere di Dio. Questa e' un'altra lezione per noi oggi, in un'era in cui la nostra fede e' debole e ritirata nel privato, in un periodo in cui il nostro rispetto umano ci porta a nascondere i nostri atti di fede per paura di offendere la sensibilita' altrui. Dobbiamo riscoprire il coraggio della nostra fede!

Come dottore poi, mi sento anche toccato dalla parte in cui si dice che la donna aveva sofferto per mano di molti medici, spendendo tutti i suoi averi: e' questa una esperienza che io ho spesso qui, dove l'assistenza sanitaria e' sempre a pagamento. Questo brano evangelico per me e' quindi pure uno stimolo a vivere la medicina come un servizio di donazione. E quando non si riesce piu' a far niente per una persona, il Vangelo mi incoraggia a dirle la verita', in modo che la smetta con inutili viaggi della speranza da luminari di vario tipo, viaggi che servono unicamente a dilapidare le magre finanze del malato.

In conclusione, penso che il brano dell'emorroissa, letto oggi a Messa, possa essere per noi uno stimolo a rinnovare il nostro coraggio, la nostra fede e la fiducia in Colui che tutto puo'. E' uno stimolo a vincere le pressioni culturali e sociali che ci portano spesso a mortificare la nostra fede, ed allo stesso tempo e' un richiamo al servizio disinteressato  verso il malato, anche quando non possiamo far nulla per guarirlo.

 

Dr Beppe Gaido, medico missionario

sabato 29 giugno 2024

EMERGENZE

E' sera tardi; mentre tentiamo di andare a letto, sentiamo del trambusto nella sala d'attesa. Ci affacciamo perché sappiamo che è inutile tentare di svignarcela... tanto poi ci chiamerebbero lo stesso. Vediamo arrivare la barella trainata dai nostri "watchmen": su di essa scorgiamo un giovane tutto coperto di sangue. I parenti hanno una lettera della polizia che dice: "assalito da una persona da lui conosciuta".

Normalmente le dinamiche dei crimini non ci interessano più di tanto. Per noi questo è un paziente che ha sanguinato molto e che ha bisogno di immediato soccorso. Ci mettiamo al lavoro e ci rendiamo conto che il sangue viene principalmente da una profonda ferita sulla fronte dove un'arteria fa zampillare sangue al ritmo del battito cardiaco.

Cerchiamo prima di tutto di arrestare l'emorragia, ma il compito non risulta così facile: il paziente continua a perdere sangue, e la pressione non cessa di diminuire. Il giovane diventa confuso e si dimena sulla barella. Assisterlo diventa ancora più complicato. Abbiamo bisogno dell'aiuto di tutti gli infermieri notturni e di almeno uno dei "watchmen". Con grande fatica cerchiamo di incannulare una vena: i vasi sono collassati ed anche l'infermiera più brava suda sette camicie prima di riuscirci. Però alla fine riusciamo a dargli una sacca di sangue che fortunatamente avevamo in frigo; e con questo le condizioni migliorano. Riusciamo ad isolare e suturare l'arteria che era stata recisa e procediamo alla chiusura della ferita.

A questo punto ci accorgiamo di un altro colpo di "panga" al braccio. Non ce ne eravamo accorti prima perché la ferita era coperta da grossi coaguli. Anche i tendini sono stati recisi e dobbiamo lavorare a lungo al fine di evitare che il giovane perda per sempre l'uso della mano.

E' passata la mezzanotte quando applichiamo un gesso e lasciamo agli infermieri il compito di lavare e mettere a letto il nostro paziente ora completamente stabile anche se ancora confuso.

 

venerdì 21 giugno 2024

BARRIERE LINGUISTICHE


 

In maternita' la volontaria italiana e' alle prese con un parto.

La mamma sta spingendo bene; la volontaria vuole incoraggiarla a non rilassarsi e le ripete, ad ogni contrazione: "ancora... ancora...ancora"

Naturalmente la nostra partoriente non ha la piu' pallida idea di cio' che quella strana parola italiana possa voler dire, ma desidera comunque obbedire a quel dottore bianco che la sta aiutando ad avere il suo figlio primogenito.

Essa pensa quindi alla parola Kimeru più vicina possibile al suono arcano che le viene ripetuto con cadenza ritmica. Le pare che la similarita' piu' probabile sia con "kora", che e' l'imperativo del verbo tossire.

"Magari, tossire mi fara' avere il bimbo piu' in fretta!"

Io entro per caso in sala parto; vedo la nostra volontaria intenta nel suo lavoro, e la mamma che tossisce forsennatamente ad ogni contrazione.

Chiedo alla donna come mai ha tanta tosse e le suggerisco di cercare di spingere con la bocca chiusa, controllando la tosse... altrimenti la forza espulsiva delle contrazioni si perde parzialmente, non avendo piu' il contributo del diaframma sul fondo uterino.

E lei mi confessa candidamente: "io non ho la tosse, ma sto facendo quello che la mia ostetrica mi dice di fare".

Accidenti alla torre di Babele!

Le barriere linguistiche sono sempre un problema!

Ricordate quell'altro caso in cui l'ostetrica italiana continuava ad urlare alla partoriente: "stai giu'!", ed io sono entrato in maternita' trovando la povera donna inarcata con il bacino sempre piu' in alto e con gli unici punti di appoggio alla barella costituiti dal collo e dalla punta dei piedi?

Eh gia', perche' in kiswahili "juu" (che si pronuncia esattamente come "giu'" in italiano) significa "su".

giovedì 20 giugno 2024

DOV'E' FINITO L'AMORE?


Oggi  in sala ho operato una giovane donna ferita a colpi di panga (machete) dal marito.

Ha tagli e fratture esposte di entrambi gli arti inferiori.

Piange dal dolore prima dell'anestesia, ma piange anche durante tutta l'operazione, non perchè l'anestesia non abbia funzionato, ma perchè il suo cuore è a pezzi: tra le lacrime, continua a chiedere dei perchè a cui nessuno di noi sa rispondere.

Io sono sempre sconvolto dai casi di violenza domestica e mi chiedo dove sia andato a finire quell'amore che un giorno ha portato una coppia a sposarsi.

Mi chiedo anche quale sia la ragione di ferire o addirittura uccidere...se non ci si vuole più bene, molto meglio separarsi che cedere alla violenza.

lunedì 17 giugno 2024

PERCHE'?


Lydia ha diciassette anni ma ne dimostra circa quattordici. Da un occhio ha una cataratta congenita, e questo le da' uno sguardo "guercio" che e' impossibile non notare.

Non ha un dente sano: sono tutti cariati e ridotti a pezzettini nerastri.

E' handicappata mentale… forse con tratti somatici Down, e vive con una mamma che sembra sua nonna.

Gia' tutto questo potrebbe bastare per una vita alquanto "scarognata" per lei e per la sua famiglia: dal modo in cui sono vestiti, certo non navigano nell'oro… ed anche cio' non aiuta una situazione gia' difficile.

Ho conosciuto Lydia una settimana fa, in quanto ce l'han portata a causa di una grossa massa al di sotto del ginocchio sinistro. La visione di quella sfera enorme e saldamente attaccata al piano osseo non mi ha ispirato niente di buono.

Ho deciso di intraprendere la via anglosassone: verita' diretta e cruda, in modo da creare uno shock che poi si possa trasformare in azione urgente. Ho parlato alla mamma e le ho comunicato che quasi sicuramente si trattava di una formazione maligna.

Abbiamo eseguito un'ago-biopsia. Il risultato e' stato crudele.

Ancora si e' ripetuto il vecchio proverbio del "piove sempre sul bagnato!"

Lydia ha un osteosarcoma molto indifferenziato… cosa che, in parole povere, significa tumore osseo molto maligno. Per questo tipo di tumore so benissimo che anche la radio e la chemio fanno relativamente poco.

Per cui ancora mi affido alle brutali modalita' anglosassoni, per convincere la mamma ad agire immediatamente. Le comunico la diagnosi senza inutili sottintesi; poi aggiungo:

"Bisogna fare altre indagini per verificare se il tumore maligno e' ancora limitato alla gamba o se e' gia' diffuso in tutto l'organismo. In questo senso, il tempo e' la nostra unica risorsa. Bisogna agire al piu' presto, prima che si verifichi l'ineluttabile."

La reazione e' naturalmente di disperazione. La mamma piange per ore e non riesce a decidere da sola. Deve andare a casa e parlare con il marito e gli uomini del suo clan: solo loro possono dare il permesso per quanto le ho proposto: un'amputazione sopra il ginocchio.

La imploro di lasciarmi la bambina in ospedale e le prometto che non faro' nulla senza il suo permesso. Mentre la donna scompare fuori dal cancello, camminando nella polvere, io mi appresto a far partire al piu' presto la "macchina diagnostica": emocromo, esami epatici e renali, ecografia dell'addome e lastra del torace. Fortunatamente, pur con tutte le limitazioni che qui sperimentiamo, la stadiazione del tumore pare molto incoraggiante: non sembra ci siano metastasi.

Lydia e' molto instabile ed agitata in ospedale senza la mamma. Forse e' la prima volta che si trova da sola senza il sostegno della genitrice, e manifesta il suo dolore nei modi piu' congeniali alla sua situazione di diversita': lei non sa parlare, e quindi ci urla il suo disagio; non le siamo simpatici, e ce lo fa capire mordendoci le braccia ogni volta che tentiamo di farle l'igiene. La cosa piu' bella e' comunque che non rifiuta di alimentarsi.

Passano tre giorni, che a noi paiono piu' lunghi di tutta la quaresima. Poi la donna torna. E' accompagnata da un uomo mal vestito, ed ancor piu' vecchieggiante di lei: non so se sono davvero anziani, o se e' la vita dura che li ha ridotti cosi'!

La mamma piange e non parla; gesticola e prega ad alta voce, come spesso si vede in certe chiese evangeliche. E' il marito a darmi il permesso di amputare.

Chiedo che la madre si fermi in ospedale per tutto il tempo della degenza, perche' per noi sarebbe troppo difficile gestire la bambina, handicappata ed un po' violenta, durante il post-operatorio.

Lei non parla e continua le sue implorazioni cantilenanti, ma un cenno degli occhi del marito mi fa capire che la mia richiesta sara' accolta.

L'intervento e' stato lungo e difficile, per varie ragioni. La piccola ha naturalmente rifiutato il catetere ed ha "mollato" pugni e "morsiconi" all'infermiera che le prendeva la vena. Anche in sala e' stato tutt'altro che semplice. L'anestesista ha dovuto sedarla, per poter poi praticare l'anestesia spinale. L'operazione e' durata circa un'ora, ma e' andata liscia.  

Il nostro cuore pero' e' stato pesante fino all'ultimo punto di sutura. Avevamo un mattone sullo stomaco che nessuno aveva il coraggio di verbalizzare.

Tra me penso: "Non mi piace fare questo tipo di operazioni… ma soprattutto mi rivolta il fatto di aver tagliato la gamba ad una bambina gia' cosi' tanto sfortunata e sofferente."

venerdì 14 giugno 2024

ARRESTO CARDIACO

Era un incidente stradale.

Il paziente è arrivato con una frattura bilaterale del femore, clinicamente evidente.

Mentre lo stavamo ricoverando e gli offrivamo il "pronto soccorso", ha improvvisamente smesso di respirare.

Non lo avevamo neppure portato in radiologia per le lastre.

Con il fonendoscopio ci siamo accorti che il paziente era anche in arresto cardiaco.

Ci siamo attivati per la rianimazione cardio-polmonare, con ambu e con massaggio cardiaco.

Nietta è corsa a prendere il defibrillatore.

Altri cercavano la vena e provavano a prelevare sangue per gli esami

Abbiamo defibrillato per due volte, ma il paziente non si è ripreso ed è morto davanti ai nostri occhi.

Probabilmente c'erano altre lesioni agli organo interni, ma non siamo arrivati in tempo, nè per ecografia addominale, nè per lastra del torace, e tantomeno per TAC cerebrale.

I parenti hanno visto il nostro impegno e non si sono lamentati.

Siccome il poveretto non era ancora neppure ufficialmente ricoverato, e la cartella clinica non era ancora stata aperta, i congiunti hanno deciso di riportarselo a casa.

Siamo molto scossi: la traumatologia è sempre un'emergenza e sovente ci sono altri problemi  interni che a noi possono sfuggire.

 

mercoledì 12 giugno 2024

LUCIANO E NIETTA


Ringrazio di cuore il Dr Luciano Cara e la Dottoressa Nietta Fenu per le due bellissime settimane trascorse insieme a Matiri. Grazie anche a Francesca ed Antonella che sono state due giorni a Matiri durante il loro periodo a Chaaria con i Buoni Figli.

Ringrazio di cuore Luciano per essere ritornato in Kenya, dopo cinque anni di pausa. A Nietta dico grazie per essere di nuovo a Matiri dopo un solo anno.

Nietta, come anche l'altra volta, ha collaborato con i medici di reparto ed è stata di grande aiuto per i nostri pazienti con patologie internistiche e cardiologiche. E' stata anche la dottoressa personale di Rita.

Luciano ed io abbiamo lavorato benissimo, in perfetta armonia.

Insieme abbiamo fatto interventi sia ortopedici, sia di chirurgia della mano che di chirurgia plastica: tante fratture, ma anche lembi e ustioni.

Insieme abbiamo allestito un magazzino ortopedico dove collocare in modo ordinato i vari strumenti necessari per le diverse chirurgie.

Abbiamo anche sognato delle possibili future collaborazioni, sia nell'ambito dell'ortopedia che in quello del volontariato.

Siamo stati bene insieme, condividendo anche i pasti e qualche momento di svago: con il cibo che hanno portato dalla Sardegna mi hanno fatto sicuramente ingrassare.

Stasera dopo il lavoro, accompagnerò a Chaaria Nietta e Luciano, per incontrare Francesca ed Antonella. Domani avranno il volo per tornare a casa.

A tutti auguro buon rientro in Italia, sperando in un nuovo e più lungo periodo insieme nel prossimo futuro.

 

martedì 11 giugno 2024

A VOLTE IL TEMPO SI DILATA


... non so neanche come spiegarlo! Non riesco a capire se e' una cosa che succede a tutti oppure solo a me.

Da una parte mi pare che il tempo corra cosi' in fretta che quasi la vita ti sfugge via: ti alzi al mattino... ed e' subito sera; non hai tempo di rendertene conto e la settimana finisce, e ti ritrovi di nuovo al sabato pomeriggio, senza quasi la memoria del fatto che i giorni siano trascorsi.

Dall'altra invece il tempo sembra immobile, soprattutto quando attendi il momento di rivedere una persona cara ed il momento non arriva mai, oppure quando stai passando un momento difficile che pare eterno.

Da questo punto di vista anche la mia permanenza in Italia a novembre scorso ha dimensioni strane: i primi giorni lontano dal Kenya non passavano mai, e mi sentivo quasi depresso al pensiero del lungo periodo che mi separava dal mio ritorno tra i malati di questo ospedale.

Poi pero' il tempo si e' messo a correre, e mi sono ritrovato all'aeroporto di Malpensa con un nodo alla gola e con la sensazione di non aver avuto abbastanza tempo per fare tutto, e soprattutto di non essere riuscito a incontrare tutte le persone a cui voglio bene. Riandando inoltre ai giorni trascorsi a casa mia, mi sono sembrati in quel momento di addio come un soffio: passati davvero troppo in fretta!

Ora sono a Matiri da quasi 5 mesi dopo le vacanze in Italia, ed il tempo continua ad infierire sulla mia mente con le sue alchimie: rammentando le persone riviste dopo 5 anni ed i pregnanti incontri con gli amici, mi pare che sia passata un'eternita'... sono ricordi in parte dolci ed in parte coperti una un velo di malinconia, ma comunque persi in un passato remoto.

Che strano! Quasi non mi ricordo quando io sia stato in questa o in quella citta'!  Mi sembra che siano trascorsi anni da quei giorni bellissimi.

Quando poi mi concentro sul presente, e' davvero la stessa cosa: mi sono buttato a capofitto nel lavoro. Lavoro dal mattino alla sera praticamente sette giorni alla settimana, per non parlare delle chiamate notturne... e quasi ho la sensazione che io non sia mai andato via; che io abbia sempre lavorato qui, e che non sia vero che alcuni mesi fa ero ancora con mia sorella il giorno della mia partenza.

Sono giochi della mente, che un po' di tristezza me la danno!

Non so se questa cosa capita soltanto a me!

sabato 8 giugno 2024

SABATO

Sono le 13.30 ed ho appena finito di mangiare. Mi avvio immediatamente in ospedale perchè vorrei tentare di finire tutti i pazienti prima che sia tardi. Appena uscito dal refettorio vengo come affascinato da una strana atmosfera pomeridiana. Il sole è torrido; non c'è un filo di vento; attorno a me tutto tace. Non si sente una mosca volare: neppure il normale gracchiare dei corvi o degli ibis. Si percepisce il profumo di fieno, che in questi giorni sta seccando sotto il sole. Quasi impercettibilmente vengo colto da una forte nostalgia: mi ritrovo a sognare di quando, adolescente, ero a casa nel mese di agosto; di quando andavo in campagna, e al pomeriggio ci si fermava sotto un albero a consumare il "pranzo al sacco", prima di riprendere con la raccolta delle pesche o delle patate. Cammino lentamente, un po' assente e assorto nei miei pensieri… ma appena giunto vicino all'ospedale, tutto ritorna di colpo normale: vengo salutato da lontano da una donna psichiatrica che crede che io sia suo marito; un gruppo di parenti sta aspettando informazioni sui loro degenti, prima di andarsene; altri ancora attendono, con chiari segni di impazienza, che io scriva la lettera di dimissione. Il sogno è durato poco: eccomi di nuovo circondato da bambini che piangono, mentre cerchiamo di trovare loro una vena, uomini fratturati che aspettano il fisioterapista, pazienti esterni che si lamentano per la vescica troppo piena e per il mio ritardo nel fare loro l'ecografia…insomma, la nostra normale routine!

Questa è la mia vita, ma onestamente non mi dispiace affatto.

In sala oggi non è molto pieno, ma facciamo interventi importanti che riporteranno molti pazienti alla normalità di vita dopo tremende fratture, interventi che da solo non sarei riuscito a eseguire.

  

mercoledì 5 giugno 2024

LA MEDICINA TRADIZIONALE


C'è un bambino con un fagiolo infilato in una narice.

Sempre mi chiedo perchè i bambini amano infilarsi delle cose nel naso e nelle orecchie.

In questo caso il  fagiolo è molto su ed io non riesco ad arpionarlo con  il solito strumento a cucchiaio che impieghiamo a questo scopo.

Dico alla nonna che è opportuno  addormentare il bambino, intubarlo per proteggergli le vie aeree e poi spingere il fagiolo nello stomaco usando un sondino nasogastrico: può sembrare una missura eccessiva, ma senza intubare il bambino il rischio di spingere il legume in trachea è tutt'altro che remoto (onestamente mi è già successo in passato).

Lei però ha paura dell'anestesia e mi chiede di poter provare a modo suo: naturalmente non ho obiezioni anche se in cuor mio penso che certo non ce l'avrebbe mai fatta, visto che io, il dottore, avevo fallito.

Come molte vecchiette della zona, l'anziana signora sniffa tabacco che gelosamente tiene in una tabacchiera fatta di foglie secche di banana.

La vedo afferrare un paio di "prese" di tabacco ed infilarle nelle narici del bimbo, invitandolo caldamente a inspirare con forza.

Il poveretto obbedisce ed immediatamente accusa una tremenda crisi di sternuti a ripetizione... forse più di venti.

Con mia sorpresa comunque gli sternuti portano giù il fagiolo che ad un certo punto diventa visibile attraverso la narice: ora toglierlo con il mio strumento è un gioco da ragazzi.

La nonna con il suo tabacco è riuscita ad evitare al nipote una anestesia generale...un altro successo della medicina tradizionale.

martedì 4 giugno 2024

LA MORTE


Veder morire una persona per cui ti sei impegnato tantissimo e' sempre una sconfitta gravissima per un medico. Se poi questo malato era giovane e lascia dietro di se' una piccola creatura orfana ed un consorte affranto, il senso di fallimento diventa doloroso e frammischiato a innumerevoli sensi di colpa: "ho fatto veramente tutto quello che potevo? Dove ho possibilmente sbagliato?"

A questo si aggiunge l'angoscia di dover affrontare i parenti: la paura di non saper far fronte alle loro emozioni; il timore che, in un momento di rabbia, ti accusino anche di cose che non hai fatto.

La profonda depressione che segue la morte di un malato affidato alle tue cure non e' un segno di "delirio di onnipotenza": lo sappiamo tutti che in medicina ci sono battaglie perse in partenza, ed altre che hanno alte percentuali di sconfitta. Ci rendiamo conto che ogni procedura da noi eseguita ha delle percentuali di mortalita' che sono ormai conosciute in tutto il mondo e documentate in letteratura. Ma quando quel "per cento" riguarda te e la persona per la cui sopravvivenza stavi lottando, le cose cambiano. Il mondo sembra crollarti addosso. A volte fa capolino la tentazione di bloccarsi: "non faro' mai piu' quella cosa". Il tuo cuore lo sa che si tratta di una reazione psicologica infondata e pericolosa... dentro di te senti che sarebbe uno sbaglio buttare nel cestino la patente dopo un incidente stradale... ma la tentazione e' forte.

Bisogna davvero metterci molta forza di volonta', per fare una analisi oggettiva di tutto il piano terapeutico ed eventualmente correggere delle possibili lacune nei protocolli dell'ospedale... ma soprattutto occorre farsi forza e continuare a lavorare, perche' ritirarsi nelle fobie, priverebbe molti altri malati di servizi necessari alla loro sopravvivenza.

Dite una preghierina per me e per tutti coloro che lottano quotidianamente contro la morte, perche' e' veramente dura vedere la luce della vita fuggire dagli occhi del tuo paziente, senza sapere cos'altro fare per impedirgli di andarsene.

La morte è quel nemico che ci rincorre e che non ci dà mai tregua: il medico lotta quotidianamente contro la morte, ma in realtà è lei a darci la caccia, e, quando vince lei, ti lascia dentro un senso di vuoto e di profondo smarrimento.

E' una continua battaglia e non sempre vinciamo noi: sabato notte ho perso in pochi minuti un uomo con una forte ematemesi. I farmaci e la trasfusione non sono serviti a nulla, ed è morto in un'ora.

Ieri invece abbiamo quasi "perso" un paziente sul tavolo operatorio, per un arresto cardiaco che è seguito immediatamente ai farmaci somministrati per il risveglio. Fortunatamente il massaggio cardiaco ha funzionato ed il paziente si è ripreso.

Per adesso, nella nostra battaglia contro la morte, stiamo pareggiando: uno a uno.

Ma la morte di quel giovane padre di famiglia mi pesa molto sul cuore.

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