Veder morire una persona per cui ti sei impegnato tantissimo e' sempre una sconfitta gravissima per un medico. Se poi questo malato era giovane e lascia dietro di se' una piccola creatura orfana ed un consorte affranto, il senso di fallimento diventa doloroso e frammischiato a innumerevoli sensi di colpa: "ho fatto veramente tutto quello che potevo? Dove ho possibilmente sbagliato?"
A questo si aggiunge l'angoscia di dover affrontare i parenti: la paura di non saper far fronte alle loro emozioni; il timore che, in un momento di rabbia, ti accusino anche di cose che non hai fatto.
La profonda depressione che segue la morte di un malato affidato alle tue cure non e' un segno di "delirio di onnipotenza": lo sappiamo tutti che in medicina ci sono battaglie perse in partenza, ed altre che hanno alte percentuali di sconfitta. Ci rendiamo conto che ogni procedura da noi eseguita ha delle percentuali di mortalita' che sono ormai conosciute in tutto il mondo e documentate in letteratura. Ma quando quel "per cento" riguarda te e la persona per la cui sopravvivenza stavi lottando, le cose cambiano. Il mondo sembra crollarti addosso. A volte fa capolino la tentazione di bloccarsi: "non faro' mai piu' quella cosa". Il tuo cuore lo sa che si tratta di una reazione psicologica infondata e pericolosa... dentro di te senti che sarebbe uno sbaglio buttare nel cestino la patente dopo un incidente stradale... ma la tentazione e' forte.
Bisogna davvero metterci molta forza di volonta', per fare una analisi oggettiva di tutto il piano terapeutico ed eventualmente correggere delle possibili lacune nei protocolli dell'ospedale... ma soprattutto occorre farsi forza e continuare a lavorare, perche' ritirarsi nelle fobie, priverebbe molti altri malati di servizi necessari alla loro sopravvivenza.
Dite una preghierina per me e per tutti coloro che lottano quotidianamente contro la morte, perche' e' veramente dura vedere la luce della vita fuggire dagli occhi del tuo paziente, senza sapere cos'altro fare per impedirgli di andarsene.
La morte è quel nemico che ci rincorre e che non ci dà mai tregua: il medico lotta quotidianamente contro la morte, ma in realtà è lei a darci la caccia, e, quando vince lei, ti lascia dentro un senso di vuoto e di profondo smarrimento.
E' una continua battaglia e non sempre vinciamo noi: sabato notte ho perso in pochi minuti un uomo con una forte ematemesi. I farmaci e la trasfusione non sono serviti a nulla, ed è morto in un'ora.
Ieri invece abbiamo quasi "perso" un paziente sul tavolo operatorio, per un arresto cardiaco che è seguito immediatamente ai farmaci somministrati per il risveglio. Fortunatamente il massaggio cardiaco ha funzionato ed il paziente si è ripreso.
Per adesso, nella nostra battaglia contro la morte, stiamo pareggiando: uno a uno.
Ma la morte di quel giovane padre di famiglia mi pesa molto sul cuore.
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