sabato 30 novembre 2024

SE VOGLIAMO AVERE UN FUTURO


Io credo che, se continuiamo a voler bene ai poveri, a dar loro la priorità, a sacrificarci per loro giorno dopo giorno, la gente continuerà a credere in noi e la nostra opera continuerà ad essere significativa.

I poveri sono il nostro parafulmine e, finchè il nostro cuore appartiene a loro, la nostra azione ed il nostro servizio saranno stabili e duraturi, perchè costruiti sulla roccia e benedetti da Dio.

I problemi cominceranno quando le nostre giornate saranno "vuote" di poveri, quando avremo tanto tempo libero per pensare a noi stessi e poco tempo da dedicare agli altri, quando non ci sacrificheremo più per il nostro prossimo.

 Vedere l'ospedale pieno è per me sempre una gioia, non tanto perchè soffro di megalomania, ma piuttosto perchè sinceramente ritengo che, se la gente ci apprezza e si fida di noi, ciò significa che anche Dio è contento di quello che facciamo. Un ospedale deserto mi porterebbe a dubitare che forse il Signore mi stia mandando un messaggio per farmi capire che c'è qualcosa che non va.

Anche i nostri sostenitori saranno con noi finchè ci vedranno donati completamente, mangiati letteralmente dal servizio e dalla stanchezza; se cominceremo ad evitare la fatica, le persone scomode, i lavori pesanti, i servizi che richiedono impegno continuo per ventiquattr'ore al giorno, allora anche i benefattori  pian piano diminuiranno, e noi ci troveremo soli.

La stima che la povera gente ha di noi è altissima e la nostra fama arriva lontanissimo, nonostante tanti sforzi da parte di qualche detrattore di sminuire il nostro operato, con osservazioni e accuse tendenziose.

Il Signore ci benedice proprio perchè non ci risparmiamo e perchè vogliamo donarci completamente e continuamente, fino al sacrificio della vita.

La dedizione e la donazione sono il segreto per il nostro futuro: finchè avremo il coraggio di sacrificarci e spenderci totalmente, finchè non metteremo i nostri diritti personali davanti a quelli dei poveri che bussano alla nostra porta, finchè i nostri reparti saranno pieni e noi saremo presenti con i malati ogni giorno della nostra vita, allora non avremo nulla da temere: continueremo ad andare avanti, i benefattori ci sosterranno, i malati si fideranno di noi, e le nostre forze si rinnoveranno ogni giorno.

La nostra motivazione sarà quella che ci manterrà forti ed in salute, impedendoci di crollare.

Questa è per me un'esperienza vissuta e sperimentata giorno dopo giorno: se i miei ideali rimangono alti, se la voglia di donarmi completamente permane forte, allora, anche dopo giornate incredibili ci si sente gratificati e contenti, soddisfatti e ripagati di tutto. Basteranno poche ore di sonno per essere nuovamente freschi ed entusiasti nel ricominciare.

Il futuro è certamente nelle mani di Dio, ma oso dire che è anche un po' nelle nostre: il disimpegno, la pigrizia, l'egoismo certamente non portano ad alcun futuro, mentre la fedeltà ai poveri, il servizio incondizionato fino al sacrificio della vita, la dedizione quotidiana e persistente, le motivazioni forti e gli ideali sempre alti sono la nostra certezza morale che possiamo avere una rilevanza nell'oggi ed una continuità nel futuro.

venerdì 29 novembre 2024

LA PIOGGIA E LA SEMINA


In una società agricola come la nostra, tutti aspettano le piogge con ansia.

La stagione umida porta con sé la possibilità di raccolti e quindi fa svanire dall'orizzonte lo spettro della fame.

Quando la gente vede le prime precipitazioni e spera che esse continuino, il campo diventa la preoccupazione principale: bisogna dissodare, arare, seminare. Poi, dopo due settimane circa occorre diserbare (con la panga e piegando la schiena), per evitare che la gramigna si mangi tutto l'humus e non ci sia nutrimento a sufficienza per le pianticelle seminate di recente.

Anche chi è malato in genere, se può, posticipa l'ospedale e va a piantare le sementi nella propria shamba, a meno che la malattia sia del tutto urgente e non dilazionabile.

Il lavoro agricolo ha la precedenza su tutti i problemi di salute cronici e pianificabili: una carie dentaria può attendere, se non è più che dolorosa. Un intervento chirurgico programmato lo si posticipa, magari dopo il raccolto, quando in tasca c'è qualche soldo in più. Una gastrite può aspettare! Soltanto per le urgenze, gli incidenti o per la maternità l'ospedale ha la priorità sui lavori agricoli!

Oggi comunque non ha piovuto: molti sono stati incoraggiati a venire in ospedale...forse hanno già finito la semina!

Abbiamo quindi lavorato anche oggi.

martedì 26 novembre 2024

BARRIERE LINGUISTICHE

In maternita' la volontaria italiana e' alle prese con un parto.

La mamma sta spingendo bene; la volontaria vuole incoraggiarla a non rilassarsi e le ripete, ad ogni contrazione: "ancora... ancora...ancora"

Naturalmente la nostra partoriente non ha la piu' pallida idea di cio' che quella strana parola italiana possa voler dire, ma desidera comunque obbedire a quel dottore bianco che la sta aiutando ad avere il suo figlio primogenito.

Essa pensa quindi alla parola Kimeru piu' vicina possibile al suono arcano che le viene ripetuto con cadenza ritmica. Le pare che la similarita' piu' probabile sia con "kora", che e' l'imperativo del verbo tossire.

"Magari, tossire mi fara' avere il bimbo piu' in fretta!"

Io entro per caso in sala parto; vedo la nostra volontaria intenta nel suo lavoro, e la mamma che tossisce forsennatamente ad ogni contrazione.

Chiedo alla donna come mai ha tanta tosse e le suggerisco di cercare di spingere con la bocca chiusa, controllando la tosse... altrimenti la forza espulsiva delle contrazioni si perde parzialmente, non avendo piu' il contributo del diaframma sul fondo uterino.

E lei mi confessa candidamente: "io non ho la tosse, ma sto facendo quello che la mia ostetrica mi dice di fare".

Accidenti alla torre di Babele!

Le barriere linguistiche sono sempre un problema!

Ricordate quell'altro caso in cui l'ostetrica italiana continuava ad urlare alla partoriente: "stai giu'!", ed io sono entrato in maternita' trovando la povera donna inarcata con il bacino sempre piu' in alto e con gli unici punti di appoggio alla barella costituiti dal collo e dalla punta dei piedi?

Eh gia', perche' in kiswahili "juu" (che si pronuncia esattamente come "giu'" in italiano) significa "su".

martedì 19 novembre 2024

ANGELO

E' arrivato dieci giorni fa verso le ore 18.

Era stata una giornata piena, ma avevamo finito i pazienti ambulatoriali, ed anche la sala era tranquilla.

Sono stato chiamato in ambulatorio ed ho visto il paziente in posizione fetale su una barella.

Urlava per un dolore lancinante all'addome ed era coperto da perline di sudore gelido.

Gli ho messo una mano sulla pancia e l'ho trovata dura come una tavola di legno.

Ho guardato Makena che era in piedi vicino a me e lei ha subito capito senza che proferissare verbo: "chiamo immediatamente l'anestesista e dico agli altri di non andare a casa".

Io annuisco e le dico: "assicurati solo che ci sia qualcuno in laboratorio per gli esami d'urgenza e per le prove crociate... entriamo in sala il piu' presto possibile!"

La nostra macchina dell'emergenza si attiva celermente e per le 18.30 il malato e' gia' in sala, addormentato ed intubato.

Mi lavo con i membri dello staff piu' esperti.

Apriamo l'addome con una vasta incisione xifo-pubica, e la prima cosa che troviamo in cavita' peritoneale e' tantissimo pus.

Il primo lavoro e' quindi quello di aspirare e di lavare un po' le anse.

Ci mettiamo quindi alla ricerca della perforazione che ha causato tutto quel fluido purulento in addome.

La troviamo quasi subito: si tratta di un'ulcera duodenale perforata.

Tiriamo un sospiro di sollievo, perche', tra tutti gli scenari chirurgici possibili, questo e' uno dei piu' favorevoli dal punto di vista della tecnica operatoria.

Fortunatamente abbiamo dei buoni retrattori per spostare leggermente fegato e cistifellea; cio' facilita enormemente la recintazione della perforazione e la sutura in due strati.

Abbiamo quindi proceduto all'ulteriore lavaggio della cavita' peritoneale ed alla lisi delle aderenze infiammatorie gia' molto pronunciate a causa dell'abbondante fibrina.

Per le 20.30 eravamo fuori dalla sala.

Il post-operatorio e' andato bene, anche se in quarta giornata Angelo ha iniziato ad essere violento e confuso... cosa che che ci ha obbligato a sedarlo un po' dal momento che si tirava via sondini e drenaggi e voleva picchiare tutte le infermiere.

Anche questo episodio psicotico e' pero' rientrato completamente.

Angelo e' oggi una persona normale.

E' tranquillo, orientato e molto riconoscente per quel che abbiamo fatto per lui.

Ci ha salutato nel pomeriggio ed e' tornato a casa,

 

sabato 16 novembre 2024

ADRENALINA ALLE STELLE


 

L'ultimo intervento di ieri era un femore.

Era gia' tardi ed eravamo un po' stanchi.

La speranza era comunque di fare relativamente in fretta in quanto abbiamo una certa esperienza con fratture del genere.

Ma in sala non esiste mai la certezza che tutto andra' bene, neppure durante l'intervento piu' semplice.

Infatti, appena dopo la mobilizzazione dei frammenti per la riduzione, abbiamo notato un sanguinamento arterioso: la situazione si e' fatta subito molto tesa perche' il sangue veniva sempre da un vaso piu' profondo del livello in cui avevamo suturato.

Il sangue era tanto e non riuscivamo a vedere niente. La paura cresceva e cosi' la tensione in sala: tutti sapevamo che non c'era sangue in laboratorio.

Non so neanche come, ma poi un punto che ho dato alla cieca ha fermato l'emorragia.

Abbiamo tirato un sospiro di sollievo, e ci siamo sentiti esausti.

Ma non ci si poteva fermare: abbiamo quindi finito l'intervento, fissando la frattura con un chiodo endomidollare.

Sono stato in ansia tutta la notte per questo giovane di 17 anni, ma stamattina l'ho visto in condizioni discrete, con l'arto inferiore caldo.

Ho richiesto un emocromo ed ho constatato che il paziente e' passato da 12 a 6 grammi di emoglobina: ha davvero sanguinato molto.

Non abbiamo sangue, ma non sanguina piu' e si nutre.

Spero quindi che si riprendera' bene, nonostante questa terribile complicazione.

martedì 12 novembre 2024

LA COMUNICAZIONE


 

Carissimi medici e volontari, che vi preparare a venire a Matiri,

mentre vi ringrazio anticipatamente per aver deciso di spendere  un periodo della vostra vita per lavorare con noi, oso  chiedervi (se fosse possibile) che ci conoscessimo un po' di piu'... prima del vostro arrivo, e non solo nell'istante in cui mettete piede a Matiri.

Se infatti rimanete fino all'ultimo soltanto dei nomi, con associato un orario di arrivo a Nairobi, una compagnia di volo, ed un titolo professionale, puo' risultare difficile ingranare velocemente con un lavoro efficiente e ricco di soddisfazioni, al vostro arrivo a Matiri.

Vi faccio alcuni esempi:

Se io sono al corrente che arrivera' uno specializzando in Medicina Interna, e con lui/lei non ho mai dialogato, a parte il normale lavorio di conoscenza reciproca che per noi si ripete ogni mese, io faro' scattare in me anche l'opinione che il suo habitat naturale sara' con i malati gravi del reparto di medicina. Non pensero' infatti di offrirgli l'ambulatorio, troppo complesso sia per motivi linguistici che per ragioni culturali. E neppure mi passera' per l'anticamera del cervello che lui/lei possa essere per esempio in grado di fare ecografie.

Magari questo puo' creare in lui/lei delle frustrazioni: forse lui/lei vuol fare eco e vuol visitare i malati ambulatoriali! Io pero' questo non lo posso sapere, se nessuno me lo dice: io guardo normalmente ai bisogni dell'ospedale, e vedo che il reparto e' l'ambito in cui il medico italiano puo' fare di piu' (oltre che essere il settore piu' bisognoso).

Mi ci vogliono normalmente circa due settimane per cominciare ad avere il sentore che quel dottore ha delle problematiche e non si trova completamente a suo agio in quella situazione, e vorrebbe magari fare altro. I piu' spontanei magari me lo dicono prima... chi e' timido invece sta zitto e sta male per la maggior parte della sua esperienza. Quando me ne rendo conto, se posso, provo ad aggiustare il tiro, ma quello che capita e' che siamo ormai all'ultima settimana di esperienza, e si e' sprecato molto tempo prima di inquadrare il problema.

Se invece so che il nuovo medico vuole fare piu' diagnostica per immagini o piu' ambulatorio, gli offriro' un ecografo dal primo giorno. Se poi sono al corrente che e' interessato piu' all'AIDS o alla Tubercolosi, lo affidero' al personale che si occupa di tali settori.

Lo stesso si applica ad un chirurgo generale.

Sapere che viene un chirurgo e' sempre una bellissima notizia, ed e' certo molto importante per me, ma sarebbe molto meglio per esempio se, tramite email, noi potessimo scambiarci delle domande ed esprimere delle aspettative.

Per esempio per me e' vitale sapere se un chirurgo opera la prostata o meno... se per la prostatectomia esige i cateterini ureterali o meno... se posso organizzare per lui appuntamenti per tiroidectomia, ecc.

Se tali particolari io lo venissi a sapere alcuni mesi in precedenza, potrei organizzarmi per il materiale mancante e potrei preparare una buona lista di pazienti, massimizzando il "rendimento" del volontariato stesso.

Altro esempio potrebbe riguardare un ginecologo: sarebbe molto utile per me conoscere in precedenza se si occupa di mammella oppure no; se fa ecografie o meno, o d'altra parte se e' un ecografista puro che non va in sala operatoria, ecc.

Un nuovo problema e' quello dei neo-aureati in Medicina: psicologicamente per me un giovane neo-laureato deve stare in reparto.

Mi e' pero' capitato quest'anno che un giovane mi dica: "sto per entrare in specialita' di chirurgia generale (ortopedia, o ginecologia). Io vorrei fare soprattutto sala operatoria". Questa cosa la dovrei sapere quando i volontari mi scrivono e mi chiedono di poter fare volontariato, e non il giorno in cui arrivano a Matiri. Questo renderebbe l'organizzazione del lavoro molto piu' semplice

Credo che il mio problema lo abbiate compreso.

Si tratta di dare il massimo per i malati, ed anche di offrire ai volontari un tipo di lavoro che li soddisfi.

Quanto ho espresso, naturalmente non riguarda soltanto i medici: e' importante per esempio che io sia in contatto con i tecnici ortopedici che possono fare per noi protesi ed ausili di vario tipo. Parlandoci, possiamo organizzare le liste dei pazienti ed evitare di mandare via gente che ha fatto molti chilometri per poi sentirsi dire che quel presidio ortopedico non siamo in grado di costruirlo.

Grazie in anticipo.

Io rispondo sempre alle mail, anche solo con pochi monosillabi.

Chi non riceve risposta, sappia fin da ora che e' perche' non ho ricevuto, oppure la sua mail e' andata a finire negli "spam" per uno dei misteri dell'informatica... e quindi insista e rimandi la mail, finche' io rispondo.

 

sabato 9 novembre 2024

LA FRECCIA CHE MI HA ROVINATO LA NOTTE


 

Erano circa le 3 di questa notte quando il telefono suona: "attacco con arco e frecce. Il paziente ha una freccia inserita nella coscia destra".

Mi alzo con fatica e vado in ambulatorio. Fortunatamente il giovane ferito e' in condizioni generali stabili; l'emocromo mi assicura che non e' anemico.

Non vedo la freccia ma solo una ferita coperta con un coagulo.

Mi spiegano che a casa l'hanno spezzata per ridurre il dolore che il paziente sentiva ogni volta che la freccia toccava da qualche parte: "la punta pero' e' dentro", mi dicono i parenti.

Decidiamo di entrare in sala e di essere pronti a tutto, in quanto non sappiano se l'arteria femorale sia stata lesa.

Lavoriamo con prudenza. Non e' cosi' semplice estrarre la freccia in quanto ha degli spuntoni rivolti posteriormente che impediscono alla punta di uscire. Dobbiamo lacerare qualche muscolo, ma finalmente ci riusciamo.

E'davvero inquietante.

Fortunatamente non ci investe il torrente ematico che temevamo: la femorale e' dunque intatta.

Laviamo con tanta soluzione salina e con betadine: le frecce non sono certo sterili; sono arrugginite ed a volte anche avvelenate.

A questo punto non ci resta che chiudere, fare un richiamo antitetanico, e coprire il paziente con antibiotici ad ampio spettro.

Siamo stanchi, ma sollevati.

Il paziente si riprendera' completamente.

Non gli ho neppure chiesto che cosa fosse successo.

Tanto lo so che i pazienti dicono sempre di essere i buoni, assaliti ingiustamente dai cattivi.

A me basta averlo salvato.

E' quasi l'alba quando vado a letto, e mi sento stanco soprattutto al pensiero che in meno di due ore saro' di nuovo in sala per la lista operatoria.

martedì 5 novembre 2024

CI SONO MOMENTI MOLTO DIFFICILI

CI SONO DEI MOMENTI MOLTO DIFFICILI!

 

Ho sempre pensato che l'aspetto più difficile nella mia vita siano i

rapporti umani.

Sovente è difficile farsi capire e non essere frainteso.

A volte vuoi mandare un messaggio e dall'altra parte se ne percepisce

uno completamente diverso.

Talvolta mi ritrovo depresso e confuso e non so più cosa fare: da una

parte la tentazione sarebbe quella di dedicarmi soltanto ai pazienti e

di lasciare che tutti in ospedale facciano sempre quello che vogliono.

Mi rendo però conto che questo sarebbe un atteggiamento egoistico e

miope, egoistico perché spinto dalla ricerca di quello che mi è più

congeniale, e miope perchè rischierebbe di lasciare l'ospedale alla

deriva, portandolo velocemente al tracollo.

Altre volte mi dico  che bisogna avere il coraggio di parlare e di

richiamare le persone e che bisogna farlo

per il bene dell'ospedale; ma la reazione dall'altra parte è spesso

così negativa e violenta che ti penti di aver aperto bocca: diventi

automaticamente il cattivo ed il prepotente, mentre la controparte si

sente gratuitamente offesa, innocente e senza peccato.

Ma è anche vero che stare zitti può facilmente diventare connivenza.

I rapporti umani sono davvero complicati ed a volte non so proprio che

pesce pigliare quando, oltre a servire i malati come medico, devo

anche avere qualche responsabilita'.

Quest'ultimo è sicuramente un aspetto molto più pesante del lavoro in

corsia o in sala operatoria.

Pensatemi oggi molto stanco interiormente, non per le molte ore che ho

trascorso in sala operatoria, ma per quei minuti in cui sono stato

travisato e non compreso nei messaggi che volevo dare a chi lavora con

me.

 

 

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