sabato 9 novembre 2024

LA FRECCIA CHE MI HA ROVINATO LA NOTTE


 

Erano circa le 3 di questa notte quando il telefono suona: "attacco con arco e frecce. Il paziente ha una freccia inserita nella coscia destra".

Mi alzo con fatica e vado in ambulatorio. Fortunatamente il giovane ferito e' in condizioni generali stabili; l'emocromo mi assicura che non e' anemico.

Non vedo la freccia ma solo una ferita coperta con un coagulo.

Mi spiegano che a casa l'hanno spezzata per ridurre il dolore che il paziente sentiva ogni volta che la freccia toccava da qualche parte: "la punta pero' e' dentro", mi dicono i parenti.

Decidiamo di entrare in sala e di essere pronti a tutto, in quanto non sappiano se l'arteria femorale sia stata lesa.

Lavoriamo con prudenza. Non e' cosi' semplice estrarre la freccia in quanto ha degli spuntoni rivolti posteriormente che impediscono alla punta di uscire. Dobbiamo lacerare qualche muscolo, ma finalmente ci riusciamo.

E'davvero inquietante.

Fortunatamente non ci investe il torrente ematico che temevamo: la femorale e' dunque intatta.

Laviamo con tanta soluzione salina e con betadine: le frecce non sono certo sterili; sono arrugginite ed a volte anche avvelenate.

A questo punto non ci resta che chiudere, fare un richiamo antitetanico, e coprire il paziente con antibiotici ad ampio spettro.

Siamo stanchi, ma sollevati.

Il paziente si riprendera' completamente.

Non gli ho neppure chiesto che cosa fosse successo.

Tanto lo so che i pazienti dicono sempre di essere i buoni, assaliti ingiustamente dai cattivi.

A me basta averlo salvato.

E' quasi l'alba quando vado a letto, e mi sento stanco soprattutto al pensiero che in meno di due ore saro' di nuovo in sala per la lista operatoria.

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