Com'è difficile a volte aiutare gli altri! La filantropia da sola non
basta. Ci vogliono forti motivazioni che ti aiutino a sopportare anche
il fatto che spesso la natura umana è completamente incapace di
riconoscenza. Mi è successo pochi giorni fa, quando ho deciso di dare
un passaggio ad un paziente ricoverato da noi che veniva dimesso.
Si è seduto nella parte posteriore dell'auto ed ha sempre parlato
gentilmente con me e con Francis, che si trovava vicino a me sul
sedile anteriore. Giunti in una zona collinare a metà strada tra
Matiri e Meru, il nostro passeggero ha detto di essere arrivato. Ci
siamo quindi fermati per farlo scendere e lo abbiamo salutato con
simpatia prima di ripartire.
Arrivati a Meru però ci attendeva una grande sorpresa: ci aveva rubato
uno scatolone con 3000 compresse di antibiotici e gli scarponi che
spesso tengo di riserva in macchina in caso di pioggia e fango.
E' stato un duro colpo, non solo per il valore economico delle
medicine, ma soprattutto per l'idea di essere stati così tanto
ingannati da una persona che poche ore prima era in coma nel nostro
ospedale a causa di una meningite.
Dopo un attimo di rabbia stizzita ho riflettuto sul fatto che bisogna
sempre lavorare per il Signore. Egli vede il nostro cuore, e sarà Lui
la nostra ricompensa. La gratitudine umana è un dono raro, e spesso un
lusso che non possiamo permetterci. Ho detto a me stesso che i
ringraziamenti sono certamente graditi se vengono, ma bisogna anche
accettare che nessuno si ricordi di esprimere un sentimento di
riconoscenza.
Francis, vicino a me, mi ha ripetuto un proverbio swahili che ben
conosco: "shukrani ya punda ni teke" (il ringraziamento dell'asino è
un calcio). Eppure bisogna andare avanti e credere nel valore
intrinseco che un atto di carità ha in se stesso: noi lavoriamo a
fondo perduto; lo facciamo per amore del prossimo, per amore del
Signore che ce ne ha dato l'esempio e anche per coerenza con noi
stessi.
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