Veder morire una persona per cui ti sei impegnato tantissimo e' sempre
una sconfitta gravissima per un medico. Se poi questo malato era
giovane e lascia dietro di se' una piccola creatura orfana ed un
consorte affranto, il senso di fallimento diventa doloroso e
frammischiato a innumerevoli sensi di colpa: "ho fatto veramente tutto
quello che potevo? Dove ho possibilmente sbagliato?"
A questo si aggiunge l'angoscia di dover affrontare i parenti: la
paura di non saper far fronte alle loro emozioni; il timore che, in un
momento di rabbia, ti accusino anche di cose che non hai fatto.
La profonda depressione che segue la morte di un malato affidato alle
tue cure non e' un segno di "delirio di onnipotenza": lo sappiamo
tutti che in medicina ci sono battaglie perse in partenza, ed altre
che hanno alte percentuali di sconfitta. Ci rendiamo conto che ogni
procedura da noi eseguita ha delle percentuali di mortalita' che sono
ormai conosciute in tutto il mondo e documentate in letteratura. Ma
quando quel "per cento" riguarda te e la persona per la cui
sopravvivenza stavi lottando, le cose cambiano. Il mondo sembra
crollarti addosso. A volte fa capolino la tentazione di bloccarsi:
"non faro' mai piu' quella cosa". Il tuo cuore lo sa che si tratta di
una reazione psicologica infondata e pericolosa... dentro di te senti
che sarebbe uno sbaglio buttare nel cestino la patente dopo un
incidente stradale... ma la tentazione e' forte.
Bisogna davvero metterci molta forza di volonta', per fare una analisi
oggettiva di tutto il piano terapeutico ed eventualmente correggere
delle possibili lacune nei protocolli dell'ospedale... ma soprattutto
occorre farsi forza e continuare a lavorare, perche' ritirarsi nelle
fobie, priverebbe molti altri malati di servizi necessari alla loro
sopravvivenza.
Quando poi tutto capita alle 3 di notte, e' chiaro che non ci sarà
verso di prendere sonno nuovamente, ed il letto diventera' come una
prigione.
Dite una preghierina per me e per tutti coloro che lottano
quotidianamente contro la morte, perche' e' veramente dura vedere la
luce della vita fuggire dagli occhi del tuo paziente, senza sapere
cos'altro fare per impedirgli di andarsene.
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