Lo sapevo che sarebbe stato un terno al lotto riprovarci, ma lei ha
insistito con una determinazione disperata che mi ha impressionato!
Ritenevo improbabile che stavolta ci riuscisse perchè nella mia testa
ho sempre pensato che ci siano problemi cromosomici o suoi o del
marito, ma lei ha continuato a ripetermi che con un solo figlio non
poteva assolutamente andare avanti perchè nella sua famiglia e nel
villaggio era completamente ostracizzata. Quindi ci avrebbe comunque
riprovato a rimanere incinta!
La ragione per cui mi pareva una decisione dolorosa stava nella sua
storia clinica: il primogenito infatti era morto in utero per cause
sconosciute all'eta gestazionale di circa 37 settimane. La donna non
aveva avuto contrazioni e neppure emorragie: aveva semplicemente
smesso di avvertire i movimenti del suo bimbo nella pancia!
Era stato uno stress incredibile per me dirglielo, immediatamente dopo
l'ecografia: già allora avevo assistito a scene inquietanti di
disperazione e di angoscia; già allora la mia paziente aveva perso il
controllo ed aveva urlato rotolandosi sul pavimento per ore ed ore.
Quando si era calmata ed aveva accettato il ricovero, avevamo tentato
di indurre il parto ma non ci eravamo riusciti; tutti i farmaci a
nostra disposizione avevano fallito: nessuna contrazione, ma un
continuo sanguinamento che la sta va anemizzando progressivamente. Con
dolore infinito avevamo dovuto procedere ad un cesareo su feto morto:
si tratta di una misura estrema, di un totale fallimento per la
medicina, in quanto non si dona alla mamma una nuova vita da far
crescere ed invece la si lascia con una cicatrice che potrebbe causare
problemi in gravidanze successive.
Da quel cesareo quella mamma si riprese completamente dal punto di
vista fisico, ma il suo cuore continuò a sanguinare.
La rivedevo di tanto in tanto e mi rendevo conto che era affetta da
una sempre più profonda depressione!
La conoscevo da quando era una ragazza!
Per il passato era stata di un carattere solare e gioioso, una
trascinatrice, un'ottimista di natura. Ora sempre di più diventava
cupa, triste, pessimista e con ideazioni a volte a sfondo suicidario.
Poi rimase incinta nuovamente. Erano passati due anni dal precedente disastro.
Durante la gravidanza il nostro stato d'animo era di una costante
apprensività e tensione.
Anche in questa seconda gestazione le cose però non sembravano andare
per il verso giusto. Molto precocemente infatti ci eravamo accorti di
una placenta previa che seguivamo con controlli ecografici
ravvicinati, nella speranza di poter arrivare a termine di gravidanza
ed operare la paziente prima che si instaurasse un'emorragia
antepartum.
Anche quella volta però il peggio si verificò. Sanguinamente
gravissimo a circa 36 settimane di età gestazionale e feto morto in
utero (probabilmente a causa delsanguinamento e della conseguente
carenza di ossigenazione): si trattò di un nuovo dramma psicologico,
con paziente devastata emotivamente ed in condizioni generali sempre
più precarie a causa del grave sanguinamento. Il cesareo fu nuovamente
inevitabile, al fine di salvare la vita della madre: fu un momento
mestissimo in quanto tutti sapevano che, se la donna certamente
sarebbe sopravvissuta all'intervento, la sua depressione sarebbe
peggiorata gravemente.
Fu molto dura assisterla nel post-operatorio, soprattutto a motivo di
un mutismo e di una anoressia in cui la paziente si era richiusa a
riccio.
La seguimmo con amicizia per mesi, e ci furono momenti in cui abbiamo
seriamente temuto per un suicidio.
La cosa che aggravava la sua situazione psicologica era sicuramente la
pressione emotiva che essa subiva da parte del clan del marito: lo
sposo le voleva bene, ma era anche gravemente condizionato dalle idee
e dalla cultura della famiglia di origine che lo incitavano al ripudio
della sposa, dovuto al fatto che certamente essa pareva sterile ed
incapace di dargli una discendenza.
Egli però risistette a lungo e la sua presenza fu molto importante per
evitare il peggio.
Alla fine ci fu una terza gravidanza e questa volta riuscimmo ad
arrivare in tempo con un cesareo elettivo che ha finalmente dato alla
nostra paziente la gioia di diventare madre.
Gli anni passarono, ed io continuavo a dire alla mia paziente che una
bellissima figlioletta per lei doveva essere sufficiente: non era più
sterile, anche agli occhi del villaggio; aveva dato un'erede al marito
ed al suo clan, ed inoltre aveva già tre cicatrici sul suo povero
utero e sarebbe stata ad alto rischio di rottura in caso di nuova
gravidanza.
La sua situazione psicologica però non migliorò, nonostante la bambina
che il Signore le aveva donato, e pian piano scivolò di nuovo in una
depressione che le causava una miriade di sintomi psicosomatici in
ogni parte del corpo.
Più tardi venni a sapere che il marito aveva ceduto alle pressioni
della sua famiglia: la donna era stata mandata via da casa e viveva da
sola, anche se lui di tanto in tanto andava a trovarla.
Poi, tre mesi fa l'ho rivista perchè aveva nuovamente bisogno di me.
L'ecografia ha dimostrato una gravidanza iniziale che lei mi ha
confermato essere del marito: non si trattava quindi di un vero
divorzio, ma di una separazione dal tetto coniugale al fine di
rispondere a condizionamenti sociali divenuti insostenibili.
Mi ha detto chiaramente che ci avrebbe provato solo più stavolta, per
dimostrare alla famiglia del marito di poter essere riaccolta, dopo
aver donato loro il secondogenito.
"Se va male di nuovo, per favore toglimi l'utero. Non ne voglio più sapere!"
Le cose sembravano procedere per il verso giusto, e siamo arrivati
oltre il terzo mese; ieri però la sventurata ha avuto dolori
addominali forti.
Sono rimasto per un tempo interminabile con la sonda ecografica sulla
sua pancia: avevo visto il problema sin dal primo momento, ma non
avevo la forza di dirglielo. Questo mio ritardo nel parlare e la
lunghezza esagerata dell'esame ecografico l'ha naturalmente
terrorizzata e con la morte nel cuore lei mi ha chiesto se c'erano
problemi.
Ho raccolto tutte le mie forze per dirle tutto d'un fiato: "il
cuoricino del bimbo non batte più!"
Quello che è successo dopo me lo aspettavo; è stato come un "dejà vu":
urla di dolore e disperazione, mentre lei si rotolava sul pavimento.
Le abbiamo dato molte ore per calmarsi. Rifiutava ogni tipo di terapia
e continuava a ripetere: "voglio morire con il mio bambino in grembo!"
Con prudenza le abbiamo sussurrato più volte all'orecchio che lei
doveva vivere, che non doveva più pensare al suicidio e che la sua
bambina era una ragione sufficiente per vivere.
Alla fine siamo riusciti a convincerla per il ricovero, a farla
dormire e ad eseguire la revisione della cavità uterina, assolutamente
necessaria per prevenire ulteriori complicazioni.
Adesso sta meglio. Ha chiesto di essere dimessa. Il marito non lo
abbiamo visto ed è stata accompagnata a casa dalla sorella che in
questo periodo vive con lei.
Sul suo volto catatonico una disperazione palpabile!
Nel mio cuore un peso grave che mi opprime come un macigno!
Il mio dolore si fa ancora più grande quando penso a tutte quelle
giovani donne che invece i figli li sopprimono con un aborto
clandestino, che, oltre ad uccidere la loro creatura, mette a rischio
anche la loro stessa vita.
Fr Beppe Gaido
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