giovedì 27 aprile 2023

IL CESAREO NON SEMPRE E’ UN PICCOLO INTERVENTO

Sono le 5.30, ed Evanjeline esprime la sua sentenza in modo lapidario:
"Cesareo. Donna con pregresso cesareo un anno fa!".
Parte la routine delle emergenze.
La speranza che nutro e' quella di un'operazione non complicata... ma
ecco che iniziano i problemi.
La donna perde i sensi in sala parto mentre la spostiamo dalla barella.
La stendiamo sul pavimento e cerchiamo di misurare una pressione, che
e' comunque imprendibile.
Guardo velocemente la congiuntiva, e mi sembra che la donna sia
anemica come un lenzuolo.
La nostra adrenalina sale alle stelle.
Trasportiamo la malata in sala, mentre cerchiamo sia di infondere
liquidi che di trasfondere sangue. In frigo infatti abbiamo una sacca
che possiamo usare!
Ma le difficolta' non cessano.
La cannula e' fuori vena, e la paziente e' collassata. Facciamo fatica
a trovare un altro accesso venoso. Miracolosamente riusciamo a
"prendere" la giugulare esterna, attraverso cui infondiamo prima
fisiologia a go go, e poi sangue.
Finalmente reperiamo anche un secondo accesso periferico, che usiamo
per darle altro "Ringer".
Tentiamo la spinale con la paziente sul fianco, ma i tentativi sono infruttuosi.
Dopo aver bucato la donna per un numero di volte che non riesciamo
neppure a ricordare, passiamo all'anestesia generale.
Apriamo la pancia velocemente. Sappiamo che la situazione e' critica,
e possiamo perdere l'operanda in ogni momento.
La paziente pero', fortunatamente respira e risponde ad una bassa dose
di anestetico. Bisogna comunque correre perche' il monitor e'
continuamente in allarme: la pressione rimane imprendibile, nonostante
trasfusione ed infusione veloce di fluidi.
Lavoriamo con tensione ma con ordine.
Appena aperto il peritoneo, ci rendiamo conto della causa del collasso
cardiocirolatorio della mamma.
C'e' sangue in addome... tanto sangue! Ne veniamo invasi dalla vita in
giu' in quanto l'aspiratore non riesce a recuperalo in tempo prima che
si riversi sul pavimento.
L'utero e' rotto ed il sacco amniotico sporge dalla ferita chirurgica.
L'estrazione del bimbo, dopo l'apertura delle membrane, e'
immediata... ma ci rendiamo conto che non ci sono segni di vita in
lui.
La tristezza e la depressione rifanno capolino nel mio cuore, ma
l'allarme quasi impazzito del monitor che mi segnala la persistente
assenza di pressione arteriosa, mi richiama alla realta'.
Non c'e' tempo per autocommiserazioni (magari il neonato sarebbe vivo
se avessimo "beccato" la spinale al primo colpo... se la vena non
fosse stata fuori!): guardo il sangue che ancora fluisce libero nel
deflussore verso la giugulare interna della donna, e mi riprendo: " ci
dobbiamo concentrare sulla mamma; se no, perdiamo anche lei!".
Fortunatamente la rottura e' avvenuta sulla rima della precedente
cicatrice chirurgica. Si tratta di una lacerazione lineare che non ha
raggiunto importanti vasi arteriosi. Si puo' quindi riparare l'organo
evitando un' isterectomia d'urgenza, che sarebbe un disastro per
quella mamma... ed un incubo per noi, date le condizioni del nostro
staff.
Lavoriamo in silenzio, quasi meditando sulla morte del bimbo e
continuando a sperare che la pressione risalga.
Mentre medichiamo la ferita addominale, per la prima volta il monitor
ci avvisa che la "massima" e' arrivata a 80... e che quindi ci sono
speranze.
La donna si sta svegliando, in preda a incubi che solo lei conosce.
Bisogna tenerla ferma in quattro, perche' non si strappi la giugulare.
La laviamo e la portiamo a letto, mentre e' ancora in uno stato di
sopore ora piu' tranquillo.
Ma subito mi ricordo di una cosa importantissima: "oggi dovremo
trasfondere un'altra sacca, magari chiedendola in prestito ad un altro
paziente piu' stabile, perche' il suo gruppo e' zero positivo, e non
ne abbiamo altro in emoteca. La cosa piu' dura, anche se necessaria,
sara' quella di dirle che il feto non ce l'ha fatta".
"Ma perche' e' morto il bambino?" mi chiede Evanjeline.
"Quando si rompe l'utero, la pressione della donna crolla, e la
perfusione placentare va praticamente a zero, causando ipossia ed
asfissia nel nascituro. E' molto raro riuscire a salvare il bambino,
nei casi di una breccia uterina di queste dimensioni. E' gia' tanto
che la madre sia viva. Infatti pure la mortalita' materna e' altissima
per tale complicazione".

Fr Beppe Gaido

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