domenica 27 dicembre 2020

Chiamate notturne

Dal 24 dicembre le chiamate notturne sono state insistenti, e si è trattato sempre di casi di maternità.
Anche stasera è tardi quando mi cercano in ospedale. Ci vado quasi barcollando, consolato solo da un cielo stellato mozzafiato.
Raggiungo l’ambulatorio, accompagnato dal clinical officer David: davanti a noi una scena raccapricciante: una povera donna a cui il marito aveva staccato il pollice sinistro e quasi amputato la mano destra, durante un momento di follia. 
Il crimine, come al solito, era stato compiuto con un machete (o panga, in Kiswahili), e la malcapitata è stata portata in ospedale dai vicini di casa che hanno usato la consueta ambulanza tradizionale: cioè un carretto trainato da una mucca.
La mia prima reazione è stata di malessere: sangue ovunque. Agitazione delle infermiere che non sapevano dove inserire l’accesso venoso, pianti delle donne che aspettavano nell’anticamera.


In un “flash back” durato qualche secondo ho pensato all’enorme problema della violenza all’interno del nucleo familiare: quanti mariti che picchiano e seviziano le loro mogli! E’ una grande piaga di cui si parla troppo poco.
Poi iniziamo a lavorare. Per la mano sinistra non c’è null’altro da fare che completare l’amputazione. Il pollice era stato tagliato via completamente, ed addirittura smarrito nella confusione. Non avevo altra scelta che togliere le schegge ossee rimaste, per poi chiudere i muscoli e la cute. Perdere il primo dito è una menomazione inimmaginabile. 
Speriamo solo che la donna non sia mancina.
Poi mi accingo a sistemare la mano destra, dove alcune ossa sono fratturate ed qualche tendine tagliato di netto. 
Ci sono anche arterie ancora aperte, che zampillano come fontane al ritmo del battito cardiaco. La mamma è stoica e mi lascia lavorare usando semplicemente anestesia locale. 
Resto sempre molto impressionato dalla loro capacità di sopportare il dolore. Però c’è un altro aspetto che mi ha veramente colpito in questa paziente: pur in preda ad un dolore lancinante e ad una importante emorragia, non ha mai espresso alcun giudizio negativo sul coniuge.
Le ho chiesto dov’era il marito, e lei semplicemente mi ha risposto che era a casa, come se ciò fosse la cosa più naturale del mondo. Io poi l’ ho incalzata un po’, domandandole se lo avrebbe perdonato. 
Lei mi ha guardato un attimo, e quindi ha semplicemente esclamato: “poverino, era ubriaco e non se n’ è neppure reso conto. Chissà come ci rimarrà male domani quando sarà completamente sobrio e dovrà fare i conti con la realtà”. 
Una risposta incredibile per i miei standard occidentali! Ma il mio stupore, pur essendo già alle stelle, è cresciuto ulteriormente quando, nel momento stesso in cui io cucivo e cercavo di salvare il salvabile, lei ha cominciato a parlarmi del suo figlioletto di sei mesi: mi ha detto con decisione che fuori c’erano altre donne, e che il suo piccolo non avrebbe dovuto tornare a casa, ma sarebbe rimasto con lei in ospedale, perchè lo avrebbe allattato durante la notte.
“Sei sicura di farcela?. Avrai male, ed io ti farò anche dei calmanti.
Non è meglio che te lo portino domattina?”
“Neppure per sogno! E’ abituato a succhiare al seno di notte, e io credo di esserne in grado, nonostante flebo, bendaggi e gesso”.
Io non riesco veramente a spiegarmi da dove le donne prendano tutta questa forza interiore.
Che monumento è la donna africana, e che mistero è la maternità: è come se la madre ormai non si appartenesse più e vivesse solo per la sua creatura. 
E’ troppo commovente per me pensare ad una malata fatta a pezzi, una malata che avrebbe potuto essere stata uccisa pochi minuti prima, non parlare mai del suo dolore o dell’ handicap che ne seguirà, ma pensare unicamente al pargoletto di sei mesi che ha fame ed ha bisogno del suo seno. 
E poi, non una parola astiosa verso il marito! Hanno davvero una marcia in più.
Ringrazio Dio per queste donne, ed anche oggi mi rafforzo nella mia convinzione che saranno loro a salvare questo continente, a farlo camminare verso un futuro più roseo, e a donare ai loro figli tutto quanto esse non han potuto godere per se stesse.
Senza il pollice sinistro, la mia malata sarà svantaggiata per tutta la vita. Spero comunque di aver fatto un buon lavoro per la mano destra, in modo da permetterle ancora di lavorare per quei pargoli a cui si è totalmente votata. 
Mi avvio verso la sala d’aspetto e prendo il pupo. Con evidente difficoltà la sua mamma se lo attacca al seno immediatamente ed abbozza un sorriso e qualche moina. 
Questa è un’altra scena incredibile, che mi incanta e mi paralizza non meno di quanto prima abbia fatto il cielo stellato. 
Una madre che allatta è come un’icona da contemplare in silenzio, ma questa donna ferita è veramente un’immagine di una sacralità indescrivibile.
Guardo l’orologio, ed è già molto tardi. Mezzanotte è passata da un po’. Lancio un’occhiata a David, che fa il turno di notte, e gli dico che sarebbe bene che io vada a “cuccia” alla svelta.

Fr Beppe


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