La più grande tristezza in tutti questi anni in Africa è certamente la morte: quante volte ho visto morire gente davanti ai miei occhi, a volte incapace di aiutarli perché me ne mancavano i mezzi diagnostici e terapeutici.
Quanti bambini ho visto morire perché non avevo sangue per trasfonderli o perché la loro malattia avrebbe avuto bisogno di cure disponibili solo in Europa! Ogni volta che mi muore un paziente per me è una disfatta ed una grande crisi di coscienza: ho sbagliato qualcosa? Potevo fare di più? Dovevo agire diversamente?
La morte dei miei pazienti, e soprattutto quella dei bambini è sicuramente la più grande tristezza in tutti questi anni di Africa.
Certamente, dai primi tempi ad oggi, il numero di morti in ospedale è grandemente diminuito, ma la vita del medico missionario è un continuo braccio di ferro tra la vita e la morte: qualche volta vince la morte, lasciandoti vuoto e senza parole.
La più grande fonte di gioia per me è certamente il mistero della vita nascente in cui il medico quasi diventa cooperatore di Dio nella continua creazione del mondo.
Collaborare ad una vita nascente è una esperienza impossibile da descrivere. Stare al fianco ad una donna in travaglio, assisterla durante le ore difficili e tormentate delle doglie, essere con lei ed aiutarla nel sacro momento in cui una nuova vita viene al mondo, sono esperienze indimenticabili che danno una gioia unica, anche quando sei stanchissimo e magari ti hanno chiamato nel cuore della notte.
In maternità hai sempre l’impressione di curare contemporaneamente due persone: la mamma ed il bimbo che si porta in grembo.
Il taglio cesareo per me resta l’intervento chirurgico più affascinate ed una vera fonte di gioia, proprio perché con esso collaboro al dono della vita nascente.
Fr Beppe Gaido
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