Il cielo e' di un blu terso, ed il caldo e' torrido e piacevole: non c'e' un filo di vento, ma non e' afoso. Sembra di essere in Sicilia, nella valle dei templi.
Dopo due giorni di calma relativa, oggi l'ambulatorio pullula nuovamente. Ci sono grida da ogni parte, e naturalmente gente che litiga perche' vuol passare prima degli altri.
In fondo la natura umana e' la stessa a tutte le latitudini: quelli che chiamiamo i nostri pazienti diventano ogni giorno meno pazienti, e si lamentano sempre; dicono di venir da lontano, di non avere mezzi di trasporto per ritornare a casa, di essere stanchi di attendere, ecc.
Anche oggi, pur avendo lavorato non-stop, ho dovuto a sentire questa canzone a partire dal mattino, e tra me pensavo che davvero l'essere umano rischia di essere incontentabile.
Offriamo a tutti un servizio di eccellenza; eseguiamo in una sola giornata degli esami che anche in Italia vanno prenotati in precedenza con liste di attesa di vari mesi; siamo sempre aperti, anche in tempo di sciopero... Eppure quel che sentiamo sono sempre lamentazioni (siamo lenti, si aspetta per troppe ore per essere visitati, e cosi' via).
Nessuno poi si rende conto che, se tardiamo a prenderci cura di lui, e' perche' ci sono altri problemi o emergenze da qualche altra parte dell'ospedale.
Oggi per esempi, ho fatto ambulatorio con il sudore sulla fronte, tra un intervento chirurgico e l'altro: normalmente, dopo un'operazione si sentirebbe il bisogno di rilassarsi un po', di sorseggiare un buon caffe' espresso e di attendere di essere chiamati in sala nuovamente. Invece noi, dopo l'operazione apriamo la porta e iniziamo ecografie, gastroscopie, ecc. Quando pero' un cliente, invece di dirmi i suoi problemi di salute, senza nemmeno salutare prende ad apostrofarmi: "ma lo sai che ho aspettato per piu' di 5 ore e che vengo da molto lontano...", allora veramente devo fare uno sforzo per mantenermi calmo e per resistere alla tentazione di rispondergli in modo sgarbato.
Quando ci sono momenti del genere, sto zitto; invito il malato a sedersi un momento; vado a fare due passi nella shamba e poi torno per continuare la visita, senza fare alcun riferimento a quanto poco prima mi ha irritato. So che molti lo fanno per ignoranza; sono cosciente del fatto che non si rendono conto del nostro carico di lavoro; ed allo stesso tempo comprendo che una mia parola detta male ad un malato puo' diventare un boomerang, perche' poi lui andra' a spargere la "buona novella" di quanto siamo scortesi.
Per questo mi sforzo di perdonarli sempre, e di considerare ogni paziente come un dono di Dio, perche', se continuano a venire nonostante i nostri limiti ed i tempi di attesa a volte snervanti, e' perche' sono ancora contenti di noi... ricordo Matiri senza ammalati, prima del mio arrivo! Io mi sentirei morire se l'ambulatorio fosse vuoto nuovamente! Cio' sarebbe un segno chiaro che il Signore non ci benedice piu'... mentre, quando vediamo i nostri reparti pieni ed il pronto soccorso invaso dagli ammalati, il nostro cuore gioisce perche' indirettamente sappiamo che Dio e' ancora contento di noi, nonostante tutti i nostri limiti, e che c'è una ragione per il mio arrivo a Matiri.
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