Un colpo di fucile gli ha tranciato il femore in due. E’ arrivato dal Nord, dopo un viaggio di molte ore durante la notte.
Ovviamente la pallottola non ha toccato i vasi memorali; se no, non sarebbe arrivato vivo dopo un viaggio così!
L’ho ricevuto in ospedale come un’urgenza.
L’emocromo era abbastanza incoraggiante. Nel primo ospedale a cui il paziente si è rivolto, hanno giustamente messo un antibiotico ad ampio spettro, prima di caricarlo sull’ambulanza e mandarcelo.
Nel visitarlo mi rendo conto che i tessuti molli presentano solo i due buchi del punto di ingresso e di uscita della pallottola. Questo è incoraggiante; a volte le fucilate creano aree di grossa distruzione.
Portiamo in sala il paziente per una toletta chirurgica in anestesia spinale: lavo abbondantemente e constato che non c’è pus.
Rimango indeciso per un attimo: fissatore esterno o fissazione interna definitiva?
Mettere il fissatore esterno vuol dire condannare questo giovane ad almeno altri tre ricoveri prima della fissazione definitiva; inoltre vuole anche dire che per almeno due mesi non potrà caricare.
Tradotto in parole povere, ciò significa tanti soldi che un pastore del Nord non ha: soldi per spese ospedaliere, ma anche i costi del trasporto dal Kenya settentrionale al nostro ospedale.
La ferita mi sembra pulita; lavo tantissimo, e poi mi butto quindi in una fissazione interna con chiodo endomidollare. Lo faccio con approccio chiuso, per evitare di danneggiare ulteriormente il periostio ed i tessuti molli, e per evitare nuove fonti di infezione.
Anche senza usare la brillanza, il chiodo entra senza troppi problemi, e la lastra di controllo è molto incoraggiante.
Se tutto va come spero, domani il mio paziente potrà camminare, e tra quattro giorni essere dimesso.
Non chiudo i buchi della pallottola e li uso come drenaggi naturali.
Spero che il forte sistema immunitario dei giovani del Nord, insieme ai miei antibiotici, permetta al paziente una pronta e completa guarigione, senza complicanze infettive.
Fr. Beppe Gaido
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