Amos ha 7 anni ed è così piccolo da dimostrarne 5.
E' impolverato e sporco, così come la mamma che non ha un solo dente sano.
Sono arrivati alle 8 di sera e mi han trovato ancora alle prese con l’ambulatorio.
Vengono dal Tharaka, e sono poveri, ragione fondamentale per una immediata intesa psicologica non verbale tra di noi.
Chiedo alla madre di dove sono, e mi dicono che provengono da Kathangacine. Già la parola suscita in me un rispetto incommensurabile: 80 chilometri di sterrato che la donna si è fatta spendendo un sacco di soldi per essere trasportata fin qui a cavallo di una motocicletta cinese.
Ha viaggiato con Amos legato alla schiena in un pareo.
“Ad ogni asperità del terreno si metteva a strillare di dolore!”, mi ha confidato con le lacrime agli occhi.
Visito rapidamente il piccolo, e non mi ci vuole molta scienza per comprendere che il femore sinistro è spezzato in due. La madre insiste che si tratta invece del ginocchio, e non della coscia.
Continuiamo a dissentire per un po’, ed alla fine devo ricorrere ad un metodo un po’ rude per convincerla: le metto una mano su quello che io penso sia il focolaio di frattura; poi premo la sua mano con la destra, mentre la mia sinistra solleva lentamente il piedino di Amos, che strilla in un attimo di dolore intensissimo. La donna ritrae l’arto con una smorfia di orrore; ha avvertito lo scroscio dei monconi ossei che andavano in collisione.
A questo punto facciamo la radiografia che conferma il mio sospetto diagnostico.
Mettiamo una doccia gessata per la notte, al fine di controllare il dolore ed operiamo Amos la mattina seguente.
Intervento andato benissimo con chiodo pediatrico di Sign.
La giornata dell’intervento, fatto in anestesia spinale, è abbastanza problematica a motivo del dolore, ma già il giorno seguente Amos è in piedi con piccole stampelle, sotto lo sguardo vigilie del fisioterapista.
La mamma è entusiasta e quasi non ci crede. In quarta giornata post-operatoria di letto il mio paziente, che ora cammina senza più ricordarsi delle stampelle.
Lo redarguisco di non arrampicarsi più sugli alberi di mango, se non vuole un chiodo anche nell’altro femore.
Fr. Beppe Gaido
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