… ma non si vede proprio. Abbiamo iniziato la giornata con la Messa, cosi’ come ogni mercoledi’, ed abbiamo offerto a Dio tutte le sofferenze della settimana scorsa, pronti a ricevere da Lui quanto vorra’ offrirci per il futuro.
Oggi è festa nazionale in Kenya, ma la gente non ha tenuto conto della festivita’ ed ha invaso l’ospedale. Ci sono pazienti dovunque, e noi siamo un po’ confusi. Il difficile e’ gestire una folla che ti affronta in massa. Ognuno ha una buona ragione per dire che deve essere servito per primo: chi e’ molto malato desidera priorita’, ma anche chi viene da molto lontano pensa di avere diritti da accampare.
Poi ci sono quelli che ci conoscono, i quali dicono. “Possibile che non ci sia modo di farci evitare questa coda infinita?”. Essere sotto pressione non aiuta, ma e’ spesso una condizione ordinaria ormai: i nostri pazienti diventano sempre piu’ impazienti.
Parecchi comunque sono molto gravi e mi chiedo come hanno fatto a non soccombere nel lungo tragitto da Marsabit a qui.
Il caldo afoso rende tutto piu’ difficile. Oggi in sala una volontaria e’ svenuta, ed ha picchiato violentemente sul pavimento. Non era malata. E’ solo che non ha retto al clima chiuso, torrido e umido del nostro reparto operatorio.
Ora e’ sera, e guardo il corridoio finalmente deserto. Vicino a me si sentono le grida di una partoriente in preda ai dolori. Un po’ piu’ in la’ un bimbo disperato piange e si dimena, mentre Wambeti cerca di prendergli la vena. Io cammino come uno zombi. I volontari sono gia’ saliti per la doccia. Passo dalle camere: oggi registriamo il tutto esaurito, e di questo non posso che ringraziare Dio. Mentre guardo i letti pieni, mi vengono in mente le parole del Cottolengo: “ Letti bis li capisco eccome... quello che non mi piace e’ vedere dei letti vuoti”.
Abbiamo anche operato molto oggi. Operazioni lunghe e difficili, sia ortopediche che di chirurgia generale.
Non è mancato neppure il cesareo.
Abbiamo avuto due casi difficili in cui abbiamo temuto di perdere il paziente sul letto operatorio.
E’ stato davvero stressante.
Non ci si abitua mai alle complicazioni.
Non si può far pace con il fatto che talvolta, pur volendo aiutare, sei tu che causi la morte di un paziente.
Fare il medico puo’ dare l’impressione di aver visto tutto e di essere abituato a fronteggiare qualunque tipo di sofferenza, ma di fronte a questi eventi la sofferenza è sempre la stessa. Ti senti a pezzi, e vieni divorato dai tuoi sensi di colpa.
Questo è stato il mio Madaraka Day oggi.
Agli Italiani buona Festa della Repubblica domani.
Fr Beppe
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