E’ la prima volta che mi trovo una scena del genere.
Vengo chiamato in ambulatorio alle 20.30 per una ferita addominale da arco e frecce.
Visito il primo paziente e concludo che bisogna andare in sala.
Mentre ancora sono alle prese con lui, mi portano dentro una secondo caso, speculare al primo: freccia piantata nella parte alta dell’addome e malato che in modo impressionante entra in ospedale camminando.
Devo decidere con chi iniziare.
Difficile sciegliere perchè le ferite sembrano simili.
Scelgo il criterio cronologico ed inizio con l’operare il primo arrivato.
Lo staff per la notte è scarso. Ho un solo assistente lavato ed uno che aiuta circolando ed assistendo l’anestesista.
Tra l’altro anche da questo punto di vista siamo tirati al massimo, in quanto da tempo il ventilatore non funzione ed il nostro anestesista deve usare l’ambu e ventilare a mano.
Ovviamente questo provoca ansia a lui ed anche qualche problema in più a me, visto che non riesce a paralizzare completamente il paziente che sempre spinge un po’.
Siamo fortunati con questo caso: unico organo interno coinvolto è il fegato che sanguina abbondantemente ma pian piano riesco a suturare.
Tutto il resto è miracolosamente a posto.
Per le 23 siamo fuori sala ed il paziente si sveglia senza troppi problemi.
Il secondo caso è più complesso del primo. Non riesco a estrarre la freccia che è incastrata al di sotto dello sterno in pieno epigastrio.
Ho paura di fare danni, ma poi alla fine l’arma viene fuori.
Anche qui pensavo peggio! La freccia ha perforato lo stomaco, ma si è fermata lì. Tutti gli altri organi sono indenni.
Ripariamo lo stomaco, laviamo abbondantemente la cavità addominale e richiudiamo.
E’ molto tardi quando vado a letto, quasi le due del mattino. Sono stanco ma carico di adrenalina: credo che abbiamo fatto un buon lavoro rispondendo all’emergenza in tempi di record.
Fr Beppe
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