Spesso ci sentiamo impotenti ed inutili. Ci chiediamo seriamente che senso ha avuto curare la malaria di un bambino, sapendo benissimo che poi sarebbe morto lo stesso al prossimo attacco.
A volte abbiamo tentato di nasconderci dietro la scusa della stanchezza, come ieri sera, quando l’infermiera della notte mi ha chiamato alle 23 dicendomi di rivedere una ragazzina di 13 anni che le sembrava in condizioni fisiche precarie. Io le ho risposto che veramente non ce la facevo più, e che quindi avrebbe potuto instaurare lei stessa un piano terapeutico per la notte. Io poi avrei visitato la paziente il mattino seguente con un po’ più di lucidità mentale. Peccato che quella bimba sia morta durante la notte ed io non abbia mai avuto la possibilità nè di visitarla, nè di chiederle scusa per non aver capito la gravità della sua situazione. E’ proprio vero: qui tutto è esagerato, sia nel bello che nel brutto.
A volte ci sentiamo come dei nani che cercano di arginare le falle di una diga infilando il pollice nei buchi del muro: che senso ha lottare quando non hai mezzi; che senso ha inseguire una diagnosi quando alla fine sai benissimo che non avrai nè soldi nè strumenti per offrire una cura: vedi tutti quei giovani che muoiono di cancro o di insufficienza renale o cardiaca, sai che altrove sopravviverebbero e ti senti un verme....
Sono andato al mortuario per vedere ancora la piccola che ho tradito nelle ultime ore della sua vita: aprendo la cella frigorifera mi è venuto un colpo al cuore. Era sdraiata vicino a Edina, che nessuno è ancora venuto prendere.
Due vite giovanissime, stroncate dalla povertà, e dal mio limite umano che qui sovente viene ingrandito come con una lente... però cosa potevo fare se davvero non ce la facevo più?
Ha senso continuare ad impegnarci di fronte a tanti fallimenti?
Per trovare una risposta, parto dal Vangelo, la’ dove Gesu’ ci parla dei talenti che dobbiamo far fruttificare: questo brano sempre mi incoraggia a credere che, se Dio mi ha dato delle capacita’, io devo cercare di sfruttarle al massimo per il bene degli altri.
Mi sentirei quanto meno un pusillanime, se, avendo la capacita’ di soccorrere qualcuno nei suoi problemi di salute, io non cercassi di aiutarlo. Se Dio non voleva che si facessero certi interventi o certe prestazioni mediche, non ce ne avrebbe dato la capacita’, perche’ noi cristiani crediamo che “tutto viene da Dio”.
Quello che facciamo per gli altri, la nostra dedizione totale hanno un senso, perchè davanti a Dio “nemmeno un bicchiere d’acqua dato per amore sara’ dimenticato”.
Se quindi in tutti questi anni ho cercato di salvare la vita a delle persone; se ho fatto interventi chirurgici e medici per gente che non avrebbe potuto permetterselo in altre strutture, oso pensare che anche questo non sara’ da Dio dimenticato...non solo i nostri fallimenti.
Ci sara’ un giorno in cui queste operazioni non potranno piu’ essere eseguite, un tempo in cui sarò vecchio e non ce la farò più.
Certamente!
Ma quello che conta e’ l’oggi: e’ la persona davanti a me con una gravidanza extrauterina, la quale morirebbe se non la opero immediatamente. E’ la mamma che ha partorito per strada e che siamo andati a prendere con l’ ambulanza prima che morisse dissanguata. E’ la giovane che piange perche’ teme di perdere il figlio primogenito, ma poi lo puo’ abbracciare vivo e vegeto, dopo un cesareo notturno.
E’ il ragazzo che e’ tornato a casa guarito dopo un terribile attacco di tetano. E’ il fratturato che cammina con le stampelle il giorno dopo l’intervento.
Le centinaia di persone che abbiamo restituito alle loro famiglie dopo una malattia saranno quelle che in Paradiso ci ripeteranno che il nostro impegno non e’ stato inutile, anche se non e’ stato neppure eterno.
D’altra parte solo Dio lo e’!
Penso per esempio a Wamba, ed ai quarant’anni in cui il Dott Prandoni ci ha riversato le sue competenze. Oggi Prandoni e’ in pensione, e certe prestazioni sono parecchio diminuite; ma chi puo’ dimenticare le decine di migliaia di poveri che l’ospedale di Wamba ha aiutato e salvato, e che, seppur in misura piu’ contenuta, continua a soccorrere anche oggi?
Quello che intendo dire e’ che mi sembra molto inopportuno non fare oggi il bene che e’ in nostro potere, per la paura che domani non riusciremo piu’ a dargli una continuita’. “Oh Dio, per amarti non ho che oggi!”, sempre ripete alla mia anima Chiara Lubich di venerata memoria. Io credo fortemente a questo messaggio: dobbiamo dare il massimo di noi stessi oggi, perche’ non sappiamo neppure se il futuro ci sara’.
Ciò che conta è il bene fatto oggi e per tutto il tempo che la Provvidenza vorrà.
Domani l’ospedale finirà?
Dio susciterà qualcun altro Per me, l’ultimo giorno della mia vita conterà solo il poter dire con
onestà: “ho fatto tutto quello che potevo...a volte ho fallito, ma non potevo dare di più”.
Fr Beppe Gaido
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