lunedì 23 novembre 2020

Il mio ideale di medico

Ho sempre creduto che la professione medica sia soprattutto una chiamata, una vocazione.
Penso che il medico sia prima di tutto chiamato a lottare sempre per la vita. Questo e’ il concetto base del giuramento di Ippocrate, ma credo importante che ce lo ripetiamo quotidianamente per non dimenticarcelo.
Lottare per la vita e’ la nostra priorita’, e la nostra caratteristica principale come medici.
E’ vero che tante volte il nostro servizio alla salute ed alla vita incontra invece la morte, ed e’ altrettanto vero che talvolta la morte e’ piu’ potente di tutti i nostri sforzi; cionondimeno il nostro
impegno e’ sempre quello di salvare, di far star meglio, di guarire.
Quante volte, anche recentemente, i miei sforzi hanno avuto come esito la morte del malato!
Quello che conta, e cio’ che rende il mio operato etico, e’ comunque il fatto che il mio tentativo e’ sempre stato quello di salvare la vita. 


Anche recentemente una lunga operazione fatta per salvare una persona accoltellata all’addome e’ risultata nella morte dell’operato poche ore dopo essere uscito dalla sala. Ma cio’ che mi rende moralmente tranquillo e’ il fatto che  nell’intervento noi abbiamo tentato il tutto e per tutto per salvare quel paziente.
Quell’uomo e’ morto infatti per le pugnalate del facinoroso, e non a motivo dell’operazione fatta da noi.
Nella mia concezione etica, considerato il fatto che il malato non aveva soldi e non avrebbe potuto rivolgersi ad un altro ospedale, sarebbe stato immorale non fare nulla e lasciare che l’emorragia interna lo uccidesse senza un disperato tentativo di salvarlo. Sarebbe stato sbagliato astenersi per paura che qualcosa potesse andar male, semplicemente per coprirsi le spalle.
“Primum non nocere” dice ancora Ippocrate (460-335 a.C.). Anche questo e’ un principio ispiratore importantissimo per me. Se da una parte devo fare di tutto per salvare e conservare la vita del malato, dall’altra devo evitare azioni temerarie che possano inutilmente mettere a repentaglio la vita di qualcuno. 
Devo fare le cose che son capace di fare con perizia, e non cedere alla tentazione dell’imprudenza. Questo vale per esempio anche per interventi rischiosi e inutili su pazienti terminali, sui quali l’azione medica non ha alcun significato in termini di sopravvivenza e di qualita’ di vita.
Da questo punto di vista la medicina palliativa e’ una scelta piu’ etica rispetto ad un intervento gia’ ritenuto inutile ancor prima di iniziarlo. Il medico che serve infatti non fa mai alcunche’ per pura accademia, perche’ lo scopo della sua vita non e’ la scienza, ne’ tantomeno il “farsi vedere”, ma il malato che ha davanti.
Ben Carson, un neurochirurgo pediatrico americano di fama mondiale, dice comunque che la medicina è anche “capacità di affrontare il rischio”. Lui sostiene che il rischio è insito nel concetto stesso di medicina e che non agire per paura di correre dei pericoli può diventare immorale e togliere a molti la possibilità di guarire: a qualcuno che gli chiedeva chi glielo facesse fare di separare gemelli siamesi con possibilità di successo non molto incoraggianti, lui rispose: “perchè rischiare? 
La domanda è scorretta ed io penso che sarebbe meglio chiedere perchè non rischiare se ci sono anche solo magre possibilità di successo!”. Secondo me, la medicina implica una continua lotta contro se stessi e la ricerca infinita di un equilibrio tra ciò che potrebbe essere temerario e ciò che invece potrebbe essere eccesso di prudenza e paura. A me è successo tanto di veder morire un malato 24 ore dopo aver deciso di astenermi da un intervento che ritenevo troppo rischioso, quanto di assistere ad un operato che non si è più svegliato dall’anestesia generale; ogni volta è un tormento: nel primo caso ti flagelli e ripeti a te stesso: “se lo avessi operato!”, mentre nel secondo mugugni pieno di sensi di colpa: “era meglio se non lo toccavo!”. A Matiri poi questo tormento interiore è certamente reso più grave dal fatto di essere soli e di non avere quasi mai una persona più anziana e più esperta a cui chiedere consiglio: ci sono io con la mia coscienza, e normalmente le decisioni vanno prese molto in fretta.
Inoltre io penso al medico come ad un servitore dell’umanita’, e quindi penso alla sua vita come completamente donata, ventiquattr’ore al giorno. Ecco quindi che la dedizione ed il sacrificio sono certamente parte integrante del mio ideale di medicina. Lo so che ci sono i limiti umani, la stanchezza ed anche la possibilità di burn-out psicologico, ma nei limiti del possibile il medico è sempre a disposizione di chi soffre. 
La mia fede mi aiuta molto in questo perchè io credo profondamente che nella persona del malato io servo Gesù. La mia impressione e’ che la dedizione contenga in se’ una forza rigenerante. 
E’ un mistero, ma quando tieni fisso lo sguardo sul tuo fine (che è il servizio incondizionato ai malati, per quanto le tue forze te lo consentono), la tua donazione non drena le tue energie completamente. Ti svuota di forza fisica e mentale, ma ti riempie il cuore. Ed e’ proprio perche’ sei interiormente carico, che ti basta una doccia o poche ore di sonno per sentirti nuovamente pronto a ricominciare. La dedizione e’ in se’ un’energia che ti trovi dentro e non sai da dove venga: credo comunque che derivi dal fatto che sei contento di te stesso e ti senti in qualche modo appagato, realizzato e soddisfatto. Mi pare che il fulcro sia proprio qui: la donazione ti gratifica perche’ e’ decisamente per questo che sei venuto in Africa.
A volte non ci si butta per paura di fallire, per eccessivo timore dei propri limiti, per preoccupazioni esagerate sul futuro (e poi chi portera’ avanti questo mio progetto dopo di me!). 
Ma questa e’ una trappola! Meno si fa, meno si e’ impegnati e piu’ si tende a cadere nella malinconia, nella nostalgia dell’Italia ed a volte anche nella maldicenza gratuita e cattiva.
Certo il medico deve essere anche il formatore del gruppo. Deve studiare lui stesso continuamente per poter trasmettere allo staff conoscenze sempre aggiornate che possano garantire il piu’ alto standard possibile di servizio in ospedale.
Credo che il medico debba essere anche il trascinatore ed il modello per tutto il personale, e credo che questo lo debba fare soprattutto con l’esempio: il medico deve essere presente al letto dei malati, deve spendersi, deve donarsi, ed allora il suo esempio sara’ seguito da tutti. Le parole non trascinano... l’esempio della vita si’.

Fr Beppe



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