mercoledì 29 aprile 2020

Il quotidiano

Correre, correre e ancora correre tutto il santo giorno: interventi lunghissimi e difficoltosi, coda di pazienti che ti aspettano ogni volta che metti il naso fuori dalla sala, ecografie e gastroscopie, complicazioni in reparto.
Finire l'ultimo cliente ambulatoriale dopo le 18.30 e poi renderti conto che in cappella crolli letteralmente dal sonno e fai un pisolino tra una ave maria e l'altra del rosario e rischi di cadere mentre in piedi cerchi di cantare il magnificat con gli altri, lottando con gli occhi che continuano a chiudersi.
Dopo cena poi, trascinare i piedi per il controgiro serale in ospedale, sperando che le visite ed i nuovi ricoveri non siano tanti.
Sentire una depressione profonda quando invece ti ritrovi la maternità che non promette niente di buono per la notte.
E poi gli operati che non canno bene, che si complicano, che si infettano.
E sei solo, se non altro perchè sei il medico anziano e non puoi chiedere al collega più giovane di toglierti dalle mani le patate bollenti.
Questa è la nostra vita, praticamente tutti i giorni... ed a volte è proprio dura.

Fr Beppe Gaido


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