AMPUTAZIONI
Sono interventi devastanti per il paziente, ed altrettanto deprimenti
per il chirurgo.
Non è comunque un intervento raro qui a Matiri: quasi sempre abbiamo
almeno un paziente amputato in reparto.
Sovente si tratta di arti superiori parzialmente amputati durante liti
o attacchi da parte di malfattori, ed in questo caso dobbiamo
perfezionare l'amputazione.
Il più delle volte però sono aputazioni degli arti inferiori, sopra o
sotto il ginocchio, e sono dovuti o a fratture esposte con gangrena,
oppure a piedi diabetici irrecuperabili.
L'intervento in sè non è difficile, ma il post-operatorio non è mai semplice.
A volte la ferita complica con infezione; altre volte i punti non
tengono; spesso di forma pus.
Poi c'è il grosso aspetto della depressione che si instaura dopo ogni
amputazione, e soprattutto nei giovani.
Recentemente, a causa di un attacco con panga, abbiamo dovuto amputare
entrambe le mani di un giovane uomo: si è ripreso bene, ma cosa sarà
la sua vita? Non riesce nè a lavarsi e neppure a mangiare da solo.
Oggi abbiamo amputato un vecchietto che aveva una gangrena secondaria
ad incidente della strada con frattura esposta di tibia e fibula:
speriamo che ce la faccia.
Sono sempre drammi, per il paziente e per la famiglia...e per
l'ospedale sono ricoveri lunghi e complessi.
martedì 10 ottobre 2023
sabato 7 ottobre 2023
DRAMMA IN EMERGENZA NOTTURNA
Sono le 5.30, ed il cercapersone mi sveglia improvvisamente,
strappandomi dalle braccia di Morfeo.
Evanjeline esprime la sua sentenza in modo lapidario: "Cesareo. Donna
con pregresso cesareo un anno fa!".
Parte la routine delle emergenze, dopo una veloce sciacquata al viso
con acqua gelata. La speranza che nutro e' quella di un'operazione non
complicata, che magari ci permetta anche di andare a Messa in
parrocchia.
Sono il primo ad arrivare in ospedale, e chiedo ad Evangeline di
portare la paziente in sala... ma ecco che iniziano i problemi.
La donna perde i sensi mentre la spostiamo dalla barella.
La stendiamo sul pavimento e cerchiamo di misurare una pressione, che
e' comunque imprendibile.
Guardo velocemente la congiuntiva, e mi sembra che la donna sia
anemica come un lenzuolo.
La nostra adrenalina sale alle stelle.
Trasportiamo la malata in sala, mentre cerchiamo sia di infondere
liquidi che di trasfondere sangue. In frigo infatti abbiamo una sacca
che possiamo usare!
Ma le difficolta' non cessano.
La cannula e' fuori vena, e la paziente e' collassata. Facciamo fatica
a trovare un altro accesso venoso. Miracolosamente riesco a "prendere"
la giugulare interna, attraverso cui infondiamo prima fisiologia a go
go, e poi sangue.
Finalmente reperiamo anche un secondo accesso periferico, che usiamo
per darle altro "Ringer".
Tentiamo la spinale con la paziente sul fianco, ma i miei tentativi
sono infruttuosi.
Dopo aver bucato la donna per un numero di volte che non riesco
neppure a ricordare, decidiamo di ricorrere alla generale.
Apriamo la pancia velocemente, mentre Peter somministra i farmaci
anestetici. Sappiamo che la situazione e' critica, e possiamo perdere
l'operanda in ogni momento.
La paziente pero', fortunatamente respira e risponde ad una bassa dose
di anestetico. Bisogna comunque correre perche' il monitor e'
continuamente in allarme: la pressione rimane imprendibile, nonostante
trasfusione ed infusione veloce di fluidi.
Lavoriamo con tensione ma con ordine.
Appena aperto il peritoneo, ci rendiamo conto della causa del collasso
cardiocirolatorio della mamma.
C'e' sangue in addome... tanto sangue! Ne veniamo invasi dalla vita in
giu' in quanto l'aspiratore non riesce a recuperalo in tempo prima che
si riversi sul pavimento.
L'utero e' rotto ed il sacco amniotico sporge dalla ferita chirurgica.
L'estrazione del bimbo, dopo l'apertura delle membrane, e'
immediata... ma ci rendiamo conto che non ci sono segni di vita in
lui.
La tristezza e la depressione rifanno capolino nel mio cuore, ma
l'allarme quasi impazzito del monitor che mi segnala la persistente
assenza di pressione arteriosa, mi richiama alla realta'.
Non c'e' tempo per autocommiserazioni (magari il neonato sarebbe vivo
se avessimo "beccato" la spinale al primo colpo... se la vena non
fosse stata fuori!): guardo il sangue che ancora fluisce libero nel
deflussore verso la giugulare interna della donna, e mi riprendo: " ci
dobbiamo concentrare sulla mamma; se no, perdiamo anche lei!".
Fortunatamente la rottura e' avvenuta sulla rima della precedente
cicatrice chirurgica. Si tratta di una lacerazione lineare che non ha
raggiunto importanti vasi arteriosi. Si puo' quindi riparare l'organo
evitando un' isterectomia d'urgenza, che sarebbe un disastro per
quella mamma... ed un incubo per noi, date le condizioni del nostro
staff.
Lavoriamo in silenzio, quasi meditando sulla morte del bimbo e
continuando a sperare che la pressione risalga.
Peter gestisce l'anestesia senza grossi 'singhiozzi', e noi giungiamo
presto alla cute.
Mentre medichiamo la ferita addominale, per la prima volta il monitor
ci avvisa che la "massima" e' arrivata a 80... e che quindi ci sono
speranze.
La donna si sta svegliano, in preda a incubi che solo lei conosce.
Bisogna tenerla ferma in quattro, perche' non si strappi la giugulare.
La laviamo e la portiamo a letto. mentre e' ancora in uno stato di
sopore ora piu' tranquillo.
La prima cosa a cui pensare e' adesso una doccia. Siamo imbrattati di
sangue dalle ginocchia in giu'.
Ma subito mi ricordo di una cosa importantissima: "oggi dovremo
trasfondere un'altra sacca, magari chiedendola in prestito ad un altro
paziente piu' stabile, perche' il suo gruppo e' zero positivo, e non
ne abbiamo altro in emoteca. La cosa piu' dura, anche se necessaria,
sara' quella di dirle che il feto non ce l'ha fatta".
"Ma perche' e' morto il bambino?" mi chiede Evanjeline.
"Quando si rompe l'utero, la pressione della donna crolla, e la
perfusione placentare va praticamente a zero, causando ipossia ed
asfissia nel nascituro. E' molto raro riuscire a salvare il bambino,
nei casi di una breccia uterina di queste dimensioni. E' gia' tanto
che la madre sia viva. Infatti pure la mortalita' materna e' altissima
per tale complicazione".
strappandomi dalle braccia di Morfeo.
Evanjeline esprime la sua sentenza in modo lapidario: "Cesareo. Donna
con pregresso cesareo un anno fa!".
Parte la routine delle emergenze, dopo una veloce sciacquata al viso
con acqua gelata. La speranza che nutro e' quella di un'operazione non
complicata, che magari ci permetta anche di andare a Messa in
parrocchia.
Sono il primo ad arrivare in ospedale, e chiedo ad Evangeline di
portare la paziente in sala... ma ecco che iniziano i problemi.
La donna perde i sensi mentre la spostiamo dalla barella.
La stendiamo sul pavimento e cerchiamo di misurare una pressione, che
e' comunque imprendibile.
Guardo velocemente la congiuntiva, e mi sembra che la donna sia
anemica come un lenzuolo.
La nostra adrenalina sale alle stelle.
Trasportiamo la malata in sala, mentre cerchiamo sia di infondere
liquidi che di trasfondere sangue. In frigo infatti abbiamo una sacca
che possiamo usare!
Ma le difficolta' non cessano.
La cannula e' fuori vena, e la paziente e' collassata. Facciamo fatica
a trovare un altro accesso venoso. Miracolosamente riesco a "prendere"
la giugulare interna, attraverso cui infondiamo prima fisiologia a go
go, e poi sangue.
Finalmente reperiamo anche un secondo accesso periferico, che usiamo
per darle altro "Ringer".
Tentiamo la spinale con la paziente sul fianco, ma i miei tentativi
sono infruttuosi.
Dopo aver bucato la donna per un numero di volte che non riesco
neppure a ricordare, decidiamo di ricorrere alla generale.
Apriamo la pancia velocemente, mentre Peter somministra i farmaci
anestetici. Sappiamo che la situazione e' critica, e possiamo perdere
l'operanda in ogni momento.
La paziente pero', fortunatamente respira e risponde ad una bassa dose
di anestetico. Bisogna comunque correre perche' il monitor e'
continuamente in allarme: la pressione rimane imprendibile, nonostante
trasfusione ed infusione veloce di fluidi.
Lavoriamo con tensione ma con ordine.
Appena aperto il peritoneo, ci rendiamo conto della causa del collasso
cardiocirolatorio della mamma.
C'e' sangue in addome... tanto sangue! Ne veniamo invasi dalla vita in
giu' in quanto l'aspiratore non riesce a recuperalo in tempo prima che
si riversi sul pavimento.
L'utero e' rotto ed il sacco amniotico sporge dalla ferita chirurgica.
L'estrazione del bimbo, dopo l'apertura delle membrane, e'
immediata... ma ci rendiamo conto che non ci sono segni di vita in
lui.
La tristezza e la depressione rifanno capolino nel mio cuore, ma
l'allarme quasi impazzito del monitor che mi segnala la persistente
assenza di pressione arteriosa, mi richiama alla realta'.
Non c'e' tempo per autocommiserazioni (magari il neonato sarebbe vivo
se avessimo "beccato" la spinale al primo colpo... se la vena non
fosse stata fuori!): guardo il sangue che ancora fluisce libero nel
deflussore verso la giugulare interna della donna, e mi riprendo: " ci
dobbiamo concentrare sulla mamma; se no, perdiamo anche lei!".
Fortunatamente la rottura e' avvenuta sulla rima della precedente
cicatrice chirurgica. Si tratta di una lacerazione lineare che non ha
raggiunto importanti vasi arteriosi. Si puo' quindi riparare l'organo
evitando un' isterectomia d'urgenza, che sarebbe un disastro per
quella mamma... ed un incubo per noi, date le condizioni del nostro
staff.
Lavoriamo in silenzio, quasi meditando sulla morte del bimbo e
continuando a sperare che la pressione risalga.
Peter gestisce l'anestesia senza grossi 'singhiozzi', e noi giungiamo
presto alla cute.
Mentre medichiamo la ferita addominale, per la prima volta il monitor
ci avvisa che la "massima" e' arrivata a 80... e che quindi ci sono
speranze.
La donna si sta svegliano, in preda a incubi che solo lei conosce.
Bisogna tenerla ferma in quattro, perche' non si strappi la giugulare.
La laviamo e la portiamo a letto. mentre e' ancora in uno stato di
sopore ora piu' tranquillo.
La prima cosa a cui pensare e' adesso una doccia. Siamo imbrattati di
sangue dalle ginocchia in giu'.
Ma subito mi ricordo di una cosa importantissima: "oggi dovremo
trasfondere un'altra sacca, magari chiedendola in prestito ad un altro
paziente piu' stabile, perche' il suo gruppo e' zero positivo, e non
ne abbiamo altro in emoteca. La cosa piu' dura, anche se necessaria,
sara' quella di dirle che il feto non ce l'ha fatta".
"Ma perche' e' morto il bambino?" mi chiede Evanjeline.
"Quando si rompe l'utero, la pressione della donna crolla, e la
perfusione placentare va praticamente a zero, causando ipossia ed
asfissia nel nascituro. E' molto raro riuscire a salvare il bambino,
nei casi di una breccia uterina di queste dimensioni. E' gia' tanto
che la madre sia viva. Infatti pure la mortalita' materna e' altissima
per tale complicazione".
martedì 3 ottobre 2023
AMORE DI PADRE
Non è così frequente vederli, ma direi che ultimamente non è più
neppure tanto raro.
Vengono in ospedale con un bambino piccolo affetto da malaria
cerebrale o da polmonite.
A volte il figlio ha un problema chirurgico e deve essere operato: in
questi casi di solito la mamma non viene in ospedale con il figlio
ammalato perchè è a casa con un bambino più piccolo da allattare, o
magari perchè è malata lei stessa; raramente capita di incontrare un
marito abbandonato dalla moglie e non ancora risposato: un vero
"single father".
In questi casi non possiamo ricoverare i bambini ed il genitore in
pediatria, perchè questo è un ambiente rigorosamente femminile.
Ricoveriamo papà e bimbo nel reparto uomini: i bimbi accompagnati in
ospedale dal papà dormono quindi con gli adulti.
Questi papà sono in genere molto buoni ed affettuosi, e direi che
fanno concorrenza alle tante mamme che abbiamo in pediatria.
Mi sorprendo a volte ad osservarli mentre contemplano con occhi pieni
d'amore il loro figlioletto ammalato, mentre vigilano con attenzione
sul flusso delle gocce della flebo che fluisce nelle vene dei loro
piccoli, mentre coccolano il figlio in preda a qualche dolore dopo un
intervento chirurgico.
Trovarsi di fronte ad un papà atterrito per la gravità delle
condizioni di salute del figlio, oppure alle prese con il cambio del
ciripà, o ancora intento ad imboccare la sua creatura con piccole
cucchiaiate di porridge, è un'esperienza molto commovente che fa pure
giustizia al sesso maschile: non tutti i padri sono infatti degli
assenti, degli irresponsabili o dei menefreghisti. Sovente l'ospedale
ce ne fa conoscere molti che nel silenzio testimoniano il puro amore
paterno.
PS: un grazie sincero ad Alessandra che oggi lascia Matiri per
rientrare in Italia. Anche lei è stata una presenza bellissima tra di
noi
neppure tanto raro.
Vengono in ospedale con un bambino piccolo affetto da malaria
cerebrale o da polmonite.
A volte il figlio ha un problema chirurgico e deve essere operato: in
questi casi di solito la mamma non viene in ospedale con il figlio
ammalato perchè è a casa con un bambino più piccolo da allattare, o
magari perchè è malata lei stessa; raramente capita di incontrare un
marito abbandonato dalla moglie e non ancora risposato: un vero
"single father".
In questi casi non possiamo ricoverare i bambini ed il genitore in
pediatria, perchè questo è un ambiente rigorosamente femminile.
Ricoveriamo papà e bimbo nel reparto uomini: i bimbi accompagnati in
ospedale dal papà dormono quindi con gli adulti.
Questi papà sono in genere molto buoni ed affettuosi, e direi che
fanno concorrenza alle tante mamme che abbiamo in pediatria.
Mi sorprendo a volte ad osservarli mentre contemplano con occhi pieni
d'amore il loro figlioletto ammalato, mentre vigilano con attenzione
sul flusso delle gocce della flebo che fluisce nelle vene dei loro
piccoli, mentre coccolano il figlio in preda a qualche dolore dopo un
intervento chirurgico.
Trovarsi di fronte ad un papà atterrito per la gravità delle
condizioni di salute del figlio, oppure alle prese con il cambio del
ciripà, o ancora intento ad imboccare la sua creatura con piccole
cucchiaiate di porridge, è un'esperienza molto commovente che fa pure
giustizia al sesso maschile: non tutti i padri sono infatti degli
assenti, degli irresponsabili o dei menefreghisti. Sovente l'ospedale
ce ne fa conoscere molti che nel silenzio testimoniano il puro amore
paterno.
PS: un grazie sincero ad Alessandra che oggi lascia Matiri per
rientrare in Italia. Anche lei è stata una presenza bellissima tra di
noi
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