E’ sera tardi e suona il telefono. Riconosco il numero della maternità: “Si tratta di Wambeti, la nostra infermiera. Ha rotto le acque ed il battito cardiaco fetale e’ troppo rapido. Inoltre ha un cicatrice pregressa dovuta a disproporzione cefalo-pelvica”.
Arrivo velocemente in sala parto e vedo che ancora stanno monitorando il feto.
“Come va il battito cardiaco fetale ora?” chiedo a Lucy, effettivamente preoccupata per la collega.
“E’ rapido, ma regolare... sui 150 al minuto”.
La piu’ tranquilla di tutti sembra proprio Wambeti: “Ti ricordi che all’eco mi avevi detto che era un maschio? Speriamo che non ti sia sbagliato, perche’ ho gia’ una bambina e mi piacerebbe tanto avere la coppia”.
“Lo saprai tra pochi minuti... di solito ci indovino quasi sempre!”
In sala Wambeti e’ bravissima: serena, totalmente cooperante e sempre sorridente. Fortunatamente la spinale riesce subito, e non dobbiamo “zappare” nella sua colonna vertebrale. L’attivita’ respiratoria della paziente e’ sempre regolare, a parte qualche piccolo problemino legato a insistenti conati di vomito.
Mi commuove quando la nostra infermiera dice a Marcella: “prova la pressione... la flebo sta per finire... come e’ la saturazione?”.
Sembra che sia di turno, e parli di un’altra paziente.
Intanto dall’altra parte della barricata Mercy ed io cerchiamo di essere veloci e precisi. Il bisturi scorre e penetra; a volte tiriamo, ed altre dobbiamo stare attenti a fermare l’emorragia. Ma, strato dopo strato, ci avviciniamo all’obiettivo: prima il giallo sottocute, che recede senza problemi, poi la lucida fascia che incidiamo con rapidita’. Quindi i suoi giovani muscoli, che dilatiamo senza danneggiare. Aperta la grigia membrana del peritoneo, ci troviamo di fronte all’utero che si presenta “bello”, senza aderenze o segni di rottura: “Accendiamo l’aspiratore... Allertiamo l’infermiera di sala parto... Pronti a ricevere il bambino”.
Pochi secondi ed eccolo li’; e’ effettivamente un bel maschiotto di 3 chili; urla e si dimena; fa la pipi’ sul campo operatorio, ed afferra ogni cosa, prima ancora che io riesca a passarlo a Marcella che lo accoglie alle mie spalle in un telo sterile. Wambeti lo guarda ed
afferma con solennita’: “Welcome, my son!”
Poi da questo momento tutto procede piu’ traquillamente. Richiudiamo ogni tessuto con la massima cura, e stiamo attentissimi a non lasciare punti sanguinanti. Come sempre, quando operiamo su amici e conoscenti, siamo molto tesi, ed in qualche modo divisi: da una parte vogliamo finire in fretta; dall’altra sappiamo che la fretta non e’ una buona consigliera e potremmo fare errori. Fino all’ultimo punto sulla cute cerchiamo di trovare il giusto mezzo tra queste due mozioni interiori contrastanti.
Wambeti e’ entrata in sala con 8 grammi di emoglobina. Non ha sanguinato un granche’, ma e’ meglio non tentare la fortuna. Eseguiamo le prove crociate, e, quando e’ a letto nella camera del
post-operatorio, le mettiamo su una sacca.
Ancora una volta rendiamo grazie a Dio per come sono andate le cose.
E’ sempre una grande responsabilita’ tenere la vita di due persone nelle prorie mani. Ma il Signore ci ha aiutati e guidati, ancora una volta.
Grazie anche a te, cara Wambeti, che non hai voluto andare altrove, dandoci una grandissima prova di stima e di fiducia, che mai dimenticheremo.
Fr Beppe
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