lunedì 7 novembre 2022

Il volto della fame

Sto camminando spedito verso l’ospedale. La strada è terribilmente polverosa ed il sole torrido. Non c’è un filo di vento ed il cielo è di un blu incantevole. Gli occhi bruciano tutte le volte che uno spericolato matatu sfreccia e mi sorpassa, lasciandomi immerso in una nuvola di polvere rossa. Ad un certo punto odo una voce femminile alle mie spalle:
“Padre, fermati per piacere”.
Istintivamente penso che quella persona stia chiamando me, seppure io non sia prete…
Mi giro di scatto ed inizio ad intravedere tra la polvere argillosa che comincia a depositarsi sul terreno, una figura smilza, accompagnata da un nugolo di bambini. E’ bassa di statura, minuta e dalla carnagione chiara, seppure i caratteri somatici siano chiaramente bantu (brown li chiamano qui, in contrapposizione ai black che hanno una pelle color ebano). In testa ha un foulard tutto sporco; cammina scalza, come pure tutti i suoi bambini. I vestiti sono stracciati e intrisi di una polvere vecchia di settimane. 

I piccoli sono in condizioni pietose: niente scarpe, abiti così tanto perforati dalle termiti, da sembrare degli scolapasta; sul viso nessun segno di un sorriso; solo occhi stanchi e chiaramente affamati. La loro pancia prominente fa da contrasto a delle gambine magre e scarne. Sulla schiena della donna un altro bimbo piccolissimo dorme saporitamente.
“Hai bisogno di qualcosa? Sei malata? Se vuoi, vieni in ospedale”
“Padre, non siamo malati. Il nostro vero problema è la fame. Siamo venuti da lontano, a piedi, e stiamo cercando da mangiare. A casa non c’è più niente: sono saltate due stagioni delle piogge, ed ora tutte le scorte sono finite. Mio marito sta cercando lavoro a Meru, ma non ne trova… qualche volta raccoglie legname qua e là; poi lo brucia sotto terra per produrre carbonella e venderla. Fa chilometri e chilometri con un sacco di questo prezioso materiale per giungere al mercato generale, ma poi viene pagato una miseria.
Le piogge sono appena iniziate, e ci vogliono mesi prima di raccogliere qualcosa… inoltre temiamo che anche questa stagione delle piogge possa fallire.”
“Come ti chiami?”
“Kasyoka ”.
Poi mi dice da dove viene. Ha camminato tanto.
Le rispondo: “Conosco la zona. E’ molto più povera di Meru ed è davvero arida e secca. Vieni con me: le suore a Matiri fanno distribuzione di cibo per le famiglie in difficoltà. Sono certo che ti aiuterà con un pacco viveri”.

Fr Beppe


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