Sono le due di notte e vengo chiamato in ambulatorio. Non è la solita frattura aperta, ma un giovane che non riesce a respirare.
E' chiaramente in agonia, ed i parenti non ci sanno dare una storia clinica soddisfacente. Dicono che è sempre stato bene e che il tutto è successo di colpo poche ore fa.
Il giovane ha fame d'aria ed una abbondante schiuma bianca fuoriesce dalla sua bocca.
Metto il fonendo sul torace e ascolto i suoni di un grande calderone in ribollizione.
"E' in edema polmonare!"
Proviamo la pressione che risulta altissima, 280/130.
Prendiamo la vena per gli esami renali, aspiriamo le secrezioni.
Facciamo subito dei diuretici ed inseriamo un caterere per monitorare la diuresi.
Intanto infondiamo idralazina per abbassare la pressione..
Tento un ECG, che risulta disturbatissimo a causa dell'agitazione del paziente: mi sembra un infarto.
I farmaci a nostra disposizione sono praticamente zero: inserisco comunque un sondino nasogastrico e sbriciolo delle compresse di aspirina che poi somministro con dell'acqua. Faccio della morfina.
Però nulla cambia e le condizioni generali continuano a peggiorare. Il papà del ragazzo è presente e ci guarda, senza disturbare.
Dopo due ore di rianimazione il paziente smette di respirare.
Siamo esausti e svuotati.
Mi pare di non avere la forza di parlare con il padre, che comunque ha già capito tutto.
Non si scaglia contro di noi, ma ci ringrazia per quello che abbiamo fatto.
Torno a letto alle 4,30 del mattino ma non chiudo occhio. Non riesco a scordare il rantolio di quel ragazzo che non sono riuscito a salvare.
Fr Beppe
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