martedì 5 ottobre 2021

Week end

Qualcuno potrebbe affermare che si tratta di “scarogna”; altri forse parlerebbero di strane congiunzioni astrali; qui da noi molta gente direbbe che si tratta di malocchio.
Il fatto comunque rimane: i week end sembrano stregati.
E’ come se tutte le complicazioni piu’ strane si dessero l’appuntamento per colpire proprio nel momento in cui siamo piu’ vulnerabili a causa della assenza di molto personale.
Anche lo scorso fine settimana e’ stato “secondo copione”. Tanti pazienti hanno affollato i nostri corridoi, al punto da farci domandare se non sia successo qualche cosa di collettivo nella mente della gente: forse tutti al giorno d’oggi pensano che, scegliendo di venire di sabato o di domenica, faranno meno coda e saranno serviti prima. Pero’ essi non considerano che, se inconsciamente questa diventa una decisione collettiva, i tempi di attesa non saranno certo inferiori che al lunedi’... anche considerando la riduzione dello staff in servizio.
I cesarei del week end sono stati molti; ma questo non e’ piu’ realmente un problema per noi: ne abbiamo fatti cosi’ tanti, che ormai si tratta di una normale pratica quotidiana.


Ma sabato pomeriggio il “malocchio” si e’ ripresentato puntualmente.
Erano le ore 15 ed avevamo appena finito un intervento ortopedico.
Eravamo affamati e senza pranzo.... ma e’ arrivata Gladys da Mukothima.
Non si reggeva in piedi ed aveva un dolore addominale fortissimo.
Sapeva di essere incinta da due mesi, e pensava di avere una minaccia d’aborto.
Dopo una emoglobina misurata al volo, ci siamo resi conto che era molto anemica e che avremmo dovuto attivarci velocemente per un paio di trasfusioni urgenti.
Ringraziando Dio poi avevamo due sacche di sangue compatibile in frigo... se no saremmo stati fregati.
Gladys infatti e’ giunta a noi da sola.
L’ecografia e’ stata spietata.
Il ‘fetino’ era morto... purtroppo non nell’utero, bensi’ in un groviglio di materiale strano a sinistra di esso. C’era fluido abbondante in cavita’ addominale.
Ho praticato una aspirazione ecoguidata del liquido peritoneale, e, senza grossa sorpresa, ne ho ricavato sangue scuro.
La diagnosi purtroppo era fatta, ma quel groviglio di materiale strano puzzava gravemente di “grane”.
Siamo entrati in sala con il cuore in gola. La donna era instabile ed eravamo pienamente coscienti del fatto che ci sarebbero stati eguali rischi di perderla per problemi legati all’anestesia, come per difficolta’ nella gestione dell’intervento.
Abbiamo aperto la pancia lentamente, incidendo prima la cuta, poi il giallo strato dell’esiguo tessuto grasso che la povera paziente ha potuto accumulare nella sua misera vita; quindi la fascia madreperlacea che le proteggeva i muscoli flaccidi. Divaricati questi ultimi ci siam trovati di fronte al foglietto peritoneale: non ci piaceva la sua apparenza. Aveva infatti perso il colore ocra, ed appariva di una cupa tonalita’ violacea.
All’improvviso Michael si e’ lasciato scappare un commento che a tutti noi e’ parso comunque lapalissiano: “la paziente ha emoperitoneo!”.
Abbiamo inciso con circospezione, ed immediatamente siamo stati sommersi da una cascata di coaguli e sangue fresco che il nostro aspiratore non riusciva a ‘succhiare’. Tiravamo fuori anche non le mani, ed il pavimento della sala ne e’ stato subito allagato.
“Se non vediamo, non riusciremo mai ad operare!”, ripetevo io, senza comunque voler accusare nessuno.
Poi finalmente le nostre cucchiaiate ed il nostro aspiratore hanno avuto la meglio. Ma quello che si e’ presentato al nostro sguardo pareva un campo di battaglia. Tutti gli organi erano appiccicati gli uni agli altri. L’utero era ormai ridotto ad una massa necrotica impossibile da salvare. Anche la vescica era in pessime condizioni, e sanguinava abbondantemente.
Eravamo tesi ed un po’ scoordinati, perche’ non sapevamo “che pesce pigliare”... pian piano ci rendevamo conto che la gravidanza extrauterina doveva essere stata di tipo cronico. Probabilmente la malata aveva avuto male per molti giorni, ma non aveva avuto i soldi per andare all’ospedale. La patologia aveva quindi avuto il tempo di complicare con una grave infezione che gradualmente le aveva causato necrosi dell’utero.
“Dobbiamo isterectomizzarla”, mi diceva l’anestesista.
Io ho avuto un attimo di esitazione in quanto Gladys dormiva e non le avevo neppure chiesto se aveva dei figli oppure meno. Poi ho guardato la sacca di sangue (l’ultima a mia disposizione) che entrava goccia dopo goccia nelle sue vene, e l’aspiratore che ancora risucchiava materiale scarlatto dalla sua pancia.
Lo sapevo che mi dovevo sostituire alla volonta’ di Gladys, se volevamo salvarle la vita.
“Okay, togliamo questo utero marcio e cerchiamo di fermare l’emorragia anche dalla sua vescica che continua a perdere”.
L’intervento e’ continuato in modo difficoltoso e un po’ scoordinato.
Io poi avevo sempre uno sguardo sul monitor, perche’ un mio emisfero cerebrale stava operando, mentre l’altro stava cercando di prevenire che la malata morisse ‘di anestesia’.
Ma Dio ci ha messo del suo, e siamo riusciti a terminare l’operazione con la malata ancora viva.
“Ora speriamo nel post-operatorio”, dicevo in modo preoccupato, rivolgendomi non so neppure a chi.
Eravamo sudati come dei pulcini. Il nostro camicione era imbrattato di sangue dal torace in giu’... “la malata e’ HIV negativa”, ho detto allo staff in generale, prevenendo una domanda che i loro occhi ansiosi mi hanno fatto immaginare.
Quello che continuava a ‘rugarmi’ nel cervello era il fatto che, prima di addormentarsi, Gladys mi aveva confidato che era stata per giorni in un’altra struttura dove non le avevano fatto nulla e dove l’avevano poi dimessa assicurandola che non aveva nulla di grave.
Appena uscito dalla sala pero’ mi son trovato davanti gli occhi imploranti di Daniel che mi ha sussurrato:
“Lo so che sei stanco, ma questa eco mi sembra urgente. E’ una donna a termine di gravidanza. Non sento il battito fetale. Ha dolori addominali lancinanti, ma non riesce a spingere. Dice di essere stata in queste condizioni per molte ore. E’ arrivata con i mezzi pubblici, dopo essere stata ricoverata in una maternita’ rurale assai lontano da qui. Non riesce a camminare, sia perche’ ha un forte capogiro, sia perche’ pare aver sviluppato una paralisi da travaglio prolungato”.
Mi sono comunque cambiato dalla testa ai piedi, e mi sono quindi diretto in sala parto con l’ecografo portatile.
La “maledizione dei week end” continuava ad infierire: il feto era morto e ballonzolava tra le anse intestinali. La cavita’ addominale era piena di liquido, e parte dell’utero era visibile dietro la testa del feto, il quale si trovava immediatamente sotto-cute.
“Chiama il laboratorio per i gruppi. Speriamo di trovare qualcosa di compatibile da trasfondere... si rientra in sala appena sara’ pulita.
Stavolta e’ rottura d’utero. Speriamo che Dio ce la mandi buona nuovamente!”

Fr Beppe Gaido



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