Sono ritmi che con il passare dei mesi si sono fatti via via pi intensi: ormai comincio al mattino alle 8 dopo la messa quotidiana e finisco la sera tardi, senza soluzione di continuità ed ormai senza una vera pausa pranzo: qualche boccone trangugiato in fretta e furia, prima di ritornare a quel rullo compressore che sono i pazienti ambulatoriali.
La cosa che pesa un po’ non è neppure il monte ore di lavoro, quanto piuttosto il fatto che i ritmi siano molto intensi e la gente voglia sempre tutto e subito: fare un intervento chirurgico è senza dubbio anche bello; ti riempie di soddisfazione e ti dà anche una buona scarica di adrenalina, ma, tra un’operazione e l’altra, ci vorrebbe un momento di stacco, anche per conservare la lucidità mentale necessaria per il prossimo paziente.
Invece, dalla sala si deve correre in ambulatorio e cercare di visitare quanti più pazienti ti sia possibile, prima di essere chiamato per il prossimo caso chirurgico...e normalmente i pazienti non sono pazienti affatto e si lamentano che hanno aspettato troppo, che vengono da lontano.
L’ambulatorio in sè è stressante, perchè ti puoi trovare davanti sia pazienti molto gravi che clienti psicosomatici e rompiscatole, sia persone molto rispettose e piene di gratitudine, come altre spocchiose e piene di pretese.
La cosa che mi pesa di più in ambulatorio è il dover visitare persone con problemi vaghi, con dolori su tutto il corpo da almeno 20 anni, persone che hanno già preso tutti i farmaci ed a cui non sai più cosa prescrivere...anche perchè sai che poi torneranno alla visita di controllo per dirti che la tua terapia non li ha aiutati affatto...eppure li vedi che non stanno poi così male.
L’altra novità che non avevo sperimentato in passato è l’uso del telefono.
Non so chi dia in giro il mio numero, ma ormai è dappertutto. Pazienti che mi chiamano a tutte le ore, sia di giorno
che di notte, ed anche alla domenica. Pazienti che si stupiscono se non ti ricordi di loro, se non ti viene in mente quale sia il farmaco loro prescritto un mese prima che naturalmente non ha funzionato.
Non posso spegnere il telefono perchè lo usano per chiamarmi in ospedale per emergenze...ma questo dà adito a molti psicosomatici di svegliarmi persino alle 23.30 o alle 5.30 del mattino.
Anche dall’ambulatorio ci vorrebbe uno stacco, prima di tornare in sala ad operare di nuovo, ma spesso non c’è il tempo materiale per farlo.
Per non parlare di quando rientri in sala verso le ore 16, pensando di aver esaurito tutta la coda dei clienti esterni; lavori per quasi due ore per un intervento difficile, e poi alle 18 ti trovi nuovamente una fila di clienti ambulatoriali ritardatari che hanno anche il coraggio di sgridarti perchè a quell’ora non troveranno più mezzi pubblici per tornare a casa e avranno problemi con il coprifuoco.
A volte sei così stanco che ti scappa una parola di troppo, diventi nervoso e tratti male qualcuno; poi ti spiace un sacco, ti penti e ti senti come se avessi rovinato in un attimo quel po’ di bene che hai cercato di fare dal mattino presto.
Altro aspetto chea volte mi pesa è quello del “tutto e subito”: ci sono persone (sia dello staff come anche tra i clienti), che non sanno proprio aspettare.
Si piombano nel tuo studio e ti sciorinano i loro problemi in tempo reale, senza chiederti se eri libero o se eri disponibile.
Tu vorresti dire loro che in quel momento pensavi di fare altro, che avevi un altro impegno o semplicemente un altro piano di lavoro: niente da fare; non ci sentono e vanno avanti imperterriti, finche tu li servi per “sfinimento”.
A volte mi stancano di più queste decine di intrusi nel piano di lavoro che non il peso stesso della giornata.
Lo so che i nostri ritmi sono comunque scompensati, anche perchè poi, dopo preghiera e cena veloce, si ritorna ancora in ospedale per il giro serale; sono scompensati anche perchè alla notte spesso si viene chiamati.
Ma cosa possiamo farci?
I bisogni sono tantissimi, ed il personale è davvero insufficiente.
Soldi per aumentare il personale ce ne sono pochi.
Ed allora stringiamo i denti ed andiamo avanti, chiedendo ogni giorno al Signore che ci dia forza e dedizione ai malati; che ci guidi e ci protegga in modo da dare sempre il meglio ai nostri pazienti e non fare errori clinici legati alla stanchezza; che ci perdoni quando, sopraffatti dal peso del servizio, a volte siamo nervosi e trattiamo qualcuno con nervosismo.
Fr Beppe
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