Credo che si sia trattato di una embolia polmonare.
Il paziente è morto lentamente, nel giro di 5 ore, con una progressiva fame di aria, ma rimanendo cosciente fino a 5 minuti prima del decesso.
Continuava a chiamarmi, a chiedermi ossigeno. Voleva sapere se ce l’avrebbe fatta. Ad un certo punto mi ha detto che il suo cuore si stava fermando...e poi è spirato, lasciandomi vuoto e devastato interiormente.
Veder morire una persona per cui ti sei impegnato tantissimo e’ sempre una sconfitta gravissima per un medico.
Se poi questo malato era giovane e lascia dietro di se’ una piccola creatura orfana ed un consorte affranto, il senso di fallimento diventa doloroso e frammischiato a innumerevoli sensi di colpa: “ho fatto veramente tutto quello che potevo? Dove ho possibilmente sbagliato?”
A questo si aggiunge l’angoscia di dover affrontare i parenti: la paura di non saper far fronte alle loro emozioni; il timore che, in un momento di rabbia, ti accusino anche di cose che non hai fatto.
La profonda depressione che segue la morte di un malato affidato alle tue cure non e’ un segno di “delirio di onnipotenza”: lo sappiamo tutti che in medicina ci sono battaglie perse in partenza, ed altre che hanno alte percentuali di sconfitta.
Ci rendiamo conto che ogni procedura da noi eseguita ha delle percentuali di mortalita’ che sono ormai conosciute in tutto il mondo e documentate in letteratura.
Ma quando quel “per cento” riguarda te e la persona per la cui sopravvivenza stavi lottando, le cose cambiano. Il mondo sembra crollarti addosso.
A volte fa capolino la tentazione di bloccarsi: “non faro’ mai piu’ quella cosa”. Il tuo cuore lo sa che si tratta di una reazione psicologica infondata e pericolosa... dentro di te senti che sarebbe uno sbaglio buttare nel cestino la patente dopo un incidente stradale... ma la tentazione e’ forte.
Bisogna davvero metterci molta forza di volonta’, per fare una analisi oggettiva di tutto il piano terapeutico ed eventualmente correggere delle possibili lacune nei protocolli dell’ospedale... ma soprattutto occorre farsi forza e continuare a lavorare, perche’ ritirarsi nelle fobie, priverebbe molti altri malati di servizi necessari alla loro sopravvivenza.
Quando poi tutto capita di notte, e’ chiaro che non ci sarà verso di prendere sonno nuovamente, ed il letto diventera’ come una prigione.
Dite una preghierina per me e per tutti coloro che lottano quotidianamente contro la morte, perche’ e’ veramente dura vedere la luce della vita fuggire dagli occhi del tuo paziente, senza sapere cos’altro fare per impedirgli di andarsene.
Ne ho visti morire tanti, ed il loro sguardo spesso ti buca il cuore.
Non dimenticherò presto gli occhioni sgranati di quell’uomo che nuovamente mi chiedeva ossigeno pochi minuti prima della morte.
Oggi ho parlato con i parenti. E’ stata dura. Loro piangevano ed io ero debole...alla fine piangevamo tutti.
La morte è quel nemico che ci rincorre e che non ci dà mai tregua: si dice che il medico lotta quotidianamente contro la morte, ma in realtà è lei a darci la caccia, e, quando vince lei, ti lascia dentro un senso di vuoto e di profondo smarrimento.
Fr Beppe
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