Vorrei cominciare ad analizzare gli elementi positivi del volontariato internazionale, partendo dalla considerazione che dai volontari si è imparato molto, dall’ecografia ai tagli cesarei, rivelandosi così una presenza significativa e molto utile per la progressione del nostro servizio.
Le cose insegnateci sono senza dubbio una dimensione centrale.
Per alcuni questa dimensione formativa è stata piuttosto chiara, edificante e motivo di gioia nel constatare che dopo il loro passaggio qualcosa di nuovo stava cominciando.
Il volontario è inoltre un portatore di freschezza ed entusiasmo nella continuazione del nostro lavoro.
Troppo spesso la routine ci può rendere cinici, incapaci di condividere fino in fondo il dolore altrui. Diventiamo freddi, come paralizzati nei sentimenti dal contatto troppo continuo con la sofferenza e con la morte.
Corriamo il rischio di voler dare a tutti lo stesso livello di attenzione, perchè abbiamo paura di coinvolgerci troppo con alcune persone che poi dovremo lasciare, o perchè muoiono o perchè guariscono e se ne vanno.
I volontari invece sanno dare importanza alle piccole cose: ad un sorriso, ad una delicatezza verso i pazienti... Essi diventano un silenzioso richiamo a non lasciarci travolgere dal rullo compressore del quotidiano che rischia di trasformarci in “macchine operatrici” senza sentimenti e senza vero coinvolgimento.
Sanno piangere davanti ad un bimbo che muore di malaria o di fronte ad una piccolina che viene consumata dall’AIDS...e con queste lacrime, quasi impercettibilmente, mettono un freno al nostro continuo correre che ci porterebbe a dire: “Ma quante storie!
Non c’è tempo per piangere per i morti, bisogna lavorare per chi è ancora vivo!”.
I volontari sono anche la nostra “cassa di risonanza” e molto spesso lavorano per noi in Italia più di quanto non potessero fare quando erano qui in Kenya.
Alcuni cooperano nell’apportare forze nuove per il sevizio; è infatti il fenomeno del “passa-parola” che ci consente di accogliere nuovi collaboratori.
Altri poi organizzano raccolte fondi, concerti, attività parrocchiali...che contribuiscono grandemente al nostro budget.
Dopo gli elementi positivi e costruttivi del volontariato, credo sia giunto il momento di segnalare alcune problematiche.
Sempre più giovani sono alla ricerca di “esperienze” e non tanto relazioni e servizi di aiuto continuativi nel tempo.
Sempre più frequente è l’incontro con volontari che si esprimono dicendo: “E' stata una bella esperienza ma siccome ormai conosco questa realtà, l’anno prossimo proverò ad andare altrove”.
Alcuni rinunciano senza problemi a certi tipi di servizio perchè “non pertinenti con l’esperienza che si erano prefissati”.
Altri ancora rifiutano di rimanere nello stesso posto in ospedale (p.es.le medicazioni...) per più di una settimana poiché desiderosi di operare in più settori, con il risultato che non diventano autosufficienti da nessuna parte.
Permettetemi di insistere su questo punto analizzando quella che potremmo chiamare la “perdita di tempo calcolata”: per un infermiere e per un medico di medicina generale, sono necessari molti giorni per l’adattamento iniziale in quanto si deve far entrare il volontario in un concetto differente di cultura, di modo di lavorare, di carenza di mezzi e di farmaci, di limitata disponibilità di denaro sia dei pazienti che dell’ospedale stesso.
È chiaro quindi che qualcuno dovrà spiegare questi concetti, mentre il volontario dovrà ascoltare, capire e provare. Il volontario dovrà capire gradualmente che la disponibilità di infermieri locali è sempre scarsa rispetto ai bisogni, perché non abbiamo soldi per pagare più persone.
Nonostante tale carenza strutturale, succederà comunque che l’infermiere kenyano seguirà il volontario italiano fino a quando lo stesso non si riterrà indipendente nel suo tipo di servizio.
Ma, se una volta raggiunto un certo grado di autosufficienza il volontario cambierà la propria postazione di lavoro perchè ormai “quello l’ho già fatto!”, la “perdita di tempo calcolata” duplica, triplica...e forse perde il suo significato.
Normalmente ci vogliono circa due settimane prima che un volontario cominci a familiarizzare con l’andamento caotico dell’ospedale, a ricordare la collocazione del necessario per svolgere il servizio, a comprendere le cattive grafie sulle cartelle e il significato delle molte abbreviazioni.
Se poi un volontario, che starà con noi tre settimane, dice che non tornerà in futuro perchè ha il desiderio di fare esperienze altrove, nel mio cuore nasce come un blocco: perchè dovrei lasciarmi coinvolgere psicologicamente e in termini di tempo se questa persona mi ha già confidato di non voler più tornare?
Certo è difficile tornare. Questo dipende da molti fattori, non ultimo quello economico. Però un volontario che desidera venire ancora (anche se poi il futuro è nelle mani di Dio) è senza dubbio un aiuto molto più significativo di tutte quelle esperienze “una tantum” che ci portano a contatto con tanta gente passeggera nella nostra vita e che poi sparirà per sempre.
Altro aspetto importante è il fattore tempo. Un volontario che si ferma qui per tre settimane, normalmente ci lascia proprio quando comincia ad essere utile!
Chi sta per lungo tempo, pian piano diventa parte dello staff.
Detto questo, desidererei ora sottolineare alcune caratteristiche a mio avviso necessarie per tutte le persone che vorrebbero fare o hanno fatto volontariato da noi.
1. SENSO DI ADATTAMENTO: sappiamo tutti che un ospedale rurale in Africa non può essere ben organizzato come un moderno ospedale italiano.
Inoltre come ho già detto, lo staff locale è molto ridotto rispetto agli standard italiani, per cui a volte non riusciamo a seguire il singolo paziente come invece si potrebbe fare in Italia.
Oltre alle ore lavorative, il senso di adattamento è necessario che si estenda anche nelle ore di tempo libero o di relax personale.
Le stanze sono quello che sono; spesso non abbiamo acqua calda in doccia. Il cibo, pur essendo abbondante, non è sempre preparato con i canoni culinari che potremmo aspettarci in un hotel (la pasta ed il riso sono spesso scotti, soprattutto se si arriva tardi dall’ospedale; il menù è più o meno fisso e si ripete ogni settimana).
2. SPIRITO COMUNITARIO: è importante che i volontari cerchino di creare buoni rapporti tra di loro e con noi che in missione ci viviamo.
3. UMILTA’ sia nel servizio che nel giudizio globale della realtà africana.
Nel servizio, pur essendo molto bello che i volontari ci portino ad un continuo miglioramento, è necessario fare appello alla pazienza personale per accettare che i cambiamenti suggeriti avvengano per piccoli passi.
A volte è necessaria una rivoluzione mentale per il nostro personale che è stato formato con altri criteri, soprattutto se consideriamo che un Africano non riesce per natura a cambiare le proprie abitudini da un giorno all’altro.
Nel giudizio globale sull’Africa invece, credo che valga quanto ci ha detto un vecchio missionario: “Per i primi tre anni osserva e basta...se vuoi veramente tentare di capire. Dopo puoi cominciare ad esprimere qualche umile parere.”
4. COMPRENSIONE: A volte è difficile per noi adattarci a personalità completamente diverse che si alternano nella nostra comunità a velocità alquanto elevata. Passiamo da persone pacate ad altre molto esuberanti; da gente che ha bisogno di solitudine ad altri che preferirebbero stare sempre in gruppo e via dicendo...
Non sempre è facile passare da un chirurgo che richiede tutto il nostro sforzo per migliorare la sterilità, ad un pediatra che invece ritiene che l’ospedale si debba concentrare soprattutto sulle pappette e sulle soluzioni reidratanti.
In ultimo dico che non possiamo essere sempre al meglio: a volte anche noi attraversiamo momenti difficili ed è imbarazzante quando il volontario ti vede in tale stato, perchè si porterà in Italia un’impressione negativa di te, l’idea di una persona triste, burbera e magari intrattabile.
Termino questo lungo scritto sottolineando che il volontariato è una realtà molto bella e utile. Abbiamo bisogno dei volontari!
Giudico l’esperienza del volontariato positivamente, anche se, come in ogni situazione umana, ci sono stati dei problemi. Ritengo comunque che il volontariato sia qualcosa di dinamico e che anche gli elementi apparentemente negativi possano tramutarsi in punti di partenza per una revisione onesta e per un miglioramento futuro.
Mi auguro che il Signore ci aiuti a crescere per sviluppare al massimo le potenzialità del volontariato che, a mio avviso non sono state ancora pienamente raggiunte.
Fr Beppe
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