martedì 14 gennaio 2020

Il minimo comun denominatore

Mi dice un volontario con cui ho una lunga storia di amicizia e di confidenza:
“Oggi mi sembra che le motivazioni che portano una persona a scegliere di fare del volontariato siano così disparate che sia praticamente impossibile descriverle tutte. 
C’è chi parte da una motivazione di fede e chi invece è completamente agnostico e lo fa per solidarietà umana. 
Ci sono persone che si dedicano al volontariato per portare il loro contributo a società più svantaggiate, ed altri che intendono rispondere ad emergenze umanitarie. 
Ci sono anche persone che lo fanno per se stessi: qualcuno per ritrovare se stesso e la parte migliore di sè in un momento di crisi; altri sperano che un’esperienza totalizzante di servizio li possa aiutare a risolvere dei problemi esistenziali o dei conflitti che si portano dentro”.
Ho pensato tanto a quanto questo mio amico mi ha detto e sono pienamente d’accordo con lui, ma allo stesso tempo mi sembra che una cosa le si debba dire: “Hai completamente ragione, ma credo che dovremmo aggiungere anche un’altra motivazione, che io metterei un po’ come “conditio sine qua non” per una bella esperienza di servizio sia per il volontario che per noi: parlo della voglia di aiutarci e di collaborare positivamente con noi che qui lavoriamo tutto l’anno. 


Matiri è un ospedale complesso che va avanti anche senza volontari: i volontari sono una risorsa nella misura in cui si sforzano di accettare i nostri ritmi ed i nostri equilibri interni, ed umilmente desiderano inserirsi nel nostro stile di lavoro. 
Una persona che si comporta così diventa un grande aiuto per noi, può facilmente colmare molte nostre lacune, può anche migliorare il nostro servizio con la sua presenza, e soprattutto ci fa star bene quando lavoriamo insieme. 
Invece, chi ha un atteggiamento del tipo “avant moi le deluge” e quasi pensa che prima del suo arrivo qui non funzionasse nulla, ha certamente sbagliato registro e non ci aiuta molto; un volontario che pensa di venire a Matiri ed imporre il suo punto di vista, il suo modo di organizzare il lavoro, le sue metodiche cliniche senza accettare il buono che già c’è in questo ospedale, inevitabilmente porterà degli scricchiolii nella nostra routine di tutti i giorni, causerà del malcontento nel personale, ed alla fine non farà una bella esperienza lui stesso.
Io credo che il primo dovere del volontario, al di là delle sue motivazioni personali, sia quello di comprendere che egli è atterrato in una struttura funzionante, che ha i suoi ritmi, i suoi enormi limiti, qualche pregio... e le sue abitudini: prima di imporre le proprie idee, egli deve osservare a lungo, farsi accettare e farsi amare da noi e dal personale. 
Quando si sarà instaurato un tale rapporto di stima e di amicizia, allora ogni proposta fattaci umilmente dai volontari sarà presa in seria considerazione e porterà dei cambiamenti sostenibili nel tempo. 
Le novità imposte invece sono come un venticello che passa, e tutti poi le abbandoneranno non appena il volontario ritorna in patria. 
Se per esempio il volontario dal primo giorno vuole che il carrello delle medicazioni sia organizzato diversamente, o che la terapia venga data in orari differenti, o che si prescrivano test e medicine non disponibili a Matiri, egli ci creerà solo tensione e non otterrà quel miglioramento degli standard di servizio che magari aveva auspicato, perchè tutto finirà in una bolla di sapone, in quanto il personale non avrà interiorizzato e fatto proprie le sue richieste.
In conclusione penso che ci debba essere un minimo comun denominatore che accomuni tutti i volontari, al di là delle loro ideologie, fedi o motivazioni: e ritengo che tale denominatore comune sia la voglia di aiutarci, di lavorare insieme senza tensioni, il desiderio di inserirsi nella vita dell’ospedale senza stravolgerla, ma facendola crescere pian piano con proposte umili e rispettose. 
Infatti è importante star bene insieme, vivere come una famiglia che insieme cerca il bene dei poveri e dei sofferenti senza imposizioni e senza malumori”.

Fr Beppe


1 commento:

  1. Sono perfettamente d'accordo con lei. Uguali ed altrettanto dannosi sono i volontari che ritornano dicendo che gli Africani non sanno lavorare e on mettono in pratica il nostro sistema lavorativo. Ci vuole molto rispetto per una cultura che non è la nostra, invece di conoscerla la si vuole subito modificare. Giuliana Perego

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Grazie per il commento.

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